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LE FONTANE DI ROMA
PASSEGGIATA A TEMA

(La bellezza dell’acqua)

ITINERARIO

  1. Fontane di Villa Sciarra

(Via Calandrelli Trastevere – Monteverde)

  1. Fontana di Piazza Mazzini

  2. Fontana della Madonna dei Monti

(Piazza della Madonna dei Monti)

 

 

  1. Fontane di Villa Sciarra

Villa Sciarraè una delle ville urbane di Roma, ha un'estensione di sette ettari e mezzo ed è situata sulle pendici del colle Gianicolo tra i quartieri di Trastevere e Monteverde Vecchio. E’ addossata alle Mura gianicolensi, attraverso cui si accede ai giardini da un ingresso lungo via delle mura gianicolensi. L’altro ingresso è quello da via Calandrelli. La villa prende il nome dalla famiglia nobile pontificia degli Sciarradi Carbognano.

La storia del sito dove sorge Villa Sciarra inizia in epoca antecedente a quella romana, quando in quella zona, denominata Locus Furrinae, era situato un santuario consacrato alla dea Furrina, la quale, in periodo Repubblicano era considerata una delle Furie.

Le Furie (nella mitologia romana) o le Erinni (nella mitologia greca) erano le dee della maledizione e della vendetta punitrice. Punivano soprattutto le trasgressioni e i delitti commessi all’interno della famiglia. Provocavano nelle loro vittime la pazzia, torturandole in tutte le maniere. Erano rappresentate come esseri mostruosi, dallo sguardo minaccioso, con grandi ali spiegate e piedi di bronzo, munite di fruste, di fiaccole e di serpenti arrotolati alle mani e ai capelli.

Facendo un salto nel tempo, in questo stesso luogo, nel 121 a. C., Gaio Sempronio Gracco, inseguito dai suoi nemici e senza più scampo, si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate.

In breve la storia di Gaio Sempronio Graccoè la seguente: nel 123 a. C. venne eletto tribuno della plebe, carica nella quale venne confermato l'anno seguente.

Gaio cercò di opporsi al potere esercitato dal senato romano e dall'aristocrazia, attuando una serie di riforme favorevoli al popolo, che si era riversato nell'Urbe dopo l'espansione territoriale, avvenuta in seguito alle guerre puniche. Il popolo, in questo periodo era composto dagli abitanti delle nuove provincie conquistate e dai piccoli agricoltori italici, che non potevano competere con i bassi prezzi delle derrate provenienti dalle provincie (Sicilia, Sardegna, Nord Africa).

Durante il secondo tribunato, quindi nel 122, proseguì la sua politica in favore dei più deboli, attuando una politica agraria, che consentiva la vendita di grano a prezzo ridotto.

La rilevanza storica di Gaio è legata tuttavia essenzialmente alle sueLeges Semproniae.

L'opposizione al suo disegno di legge (leges Semproniae) trovò concordi il Senato (che trovava così il modo di liberarsi di un pericoloso antagonista), la maggior parte dei cavalieri e pressoché tutta la plebe, gelosa dei propri privilegi.

Gaio a causa di ciò perse molta della sua popolarità e non fu rieletto al tribunato. Il giorno della votazione relativa all'abrogazione proposta dal senato di una delle leggi presentate da Gaio Gracco, questi si presentò all'assemblea per difenderla. I nobili, capeggiati da Publio Cornelio Scipione Nasica Serapione gli opposero il collega Marco Livio Druso e il triumviro Gaio Papirio Carbone. Scoppiarono una serie di disordini che il nuovo console Opimio, eletto dal partito oligarchico, ebbe mano libera di reprimere.

Gaio e i suoi sostenitori si rifugiarono sull'Aventino per resistere armati, ma quando Opimio promise l'impunità a chi si fosse arreso e consegnato, l'ex tribuno, rimasto quasi solo fuggì nascondendosi sul colle del Gianicolo. Qui, nel lucus Furrinae, dopo essere stato scovato e non potendo più sfuggire ai suoi nemici, si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate. Era il 121 a.C.

Facendo un altro salto nel tempo giungiamo all’epoca del Rinascimento e precisamente nel nel 1575, anno in cui inizia la storia di Villa Sciarra.

L'area in cui si trova la villa fu acquistata dal monsignor Innocenzo Malvasia, che vi edificò l'omonimo Casino, un edificio a due piani con loggia.

Nel 1614 la proprietà fu acquistata da Gaspare Rivaldi, appaltatore delle Dogane Pontificie. In questo periodo l'area acquistò notevole valore ed importanza in quanto, a seguito della costruzione delle Mura gianicolensi, la villa da extraurbana divenne villa urbana.

Nel 1647 la villa fu acquistata dal cardinale Antonio Barberini, già proprietario del Casino Malvasia, mentre nel 1710 fu venduta al cardinale Pietro Ottoboni, che la mantenne fino alla sua morte nel 1740.

In seguito divenne di nuovo di proprietà dei Barberini, e precisamente di Cornelia Costanza Barberini, moglie di Giulio Cesare Colonna di Sciarra, sotto i quali la villa venne ingrandita, fino ad occupare tutta l'area del Gianicoloe di Monteverde, compresa tra le antiche Mura aureliane e le nuove Mura gianicolensi, ed abbellita con l'acquisto, tra gli altri, dell'Orto Crescenzi nel 1811.

Nel periodo della Repubblica Romana (1849) il Casino Barberini e il Casino Malvasia vennero fortemente danneggiati dai combattimenti tra le truppe repubblicane, comandate da Giuseppe Garibaldi, che vi si erano asserragliate, e quelle francesi del generale Nicolas Charles Victor Oudinot.

In seguito i Barberini restaurarono il Casino nelle forme originarie, ma la proprietà fu poi persa dal principe Maffeo II degli Sciarra in seguito ad errate speculazioni finanziarie. Il terreno intorno a Villa Sciarra venne così lottizzato in base alle convenzioni stipulate nel 1889 tra il comune di Roma, la Compagnia Fondiaria Italiana e lo stesso principe, e divenne area edificabile. Mentre la villa, rimasta proprietà degli Sciarra, venne poi ceduta nel 1896 a George Clarke e quindi alla Società di Credito ed Industria Fondiaria Edilizia.

Gli ultimi proprietari furono George Wurts, un diplomatico americano, al quale si deve l’attuale disposizione del giardino e dei monumenti in esso contenuti, essendo appassionato di giardini, e sua moglie Henriette Tower, ricca ereditiera di Filadelfia, che l'acquistarono il 15 maggio 1902.

Nel 1906 venne avviato il progetto per la costruzione del Castelletto in stile neogotico, che fu poi realizzato nel 1908-1910. Sempre nel 1908 vennero iniziati i lavori per la realizzazione dell’ingresso di via Calandrelli.

George Wurts morì nel 1928 e quattro anni dopo la moglie donò la villa a Benito Mussolini, con la condizione che fosse destinata a parco pubblico. A sua volta, Mussolini ne fece dono ai romani: esiste ancora la targa sulla villa.

Wurts si dimostrò un finissimo intenditore d’arte e si prodigò moltissimo per la conservazione e l’abbellimento della villa.

Molta cura prestò anche nell’abbellimento del parco, che decorò con numerose statue settecentesche e fontane provenienti, per lo più, dal Palazzo Visconti di Brignano d'Adda, in provincia di Bergamo.

A seguire la descrizione del parco della villa e delle sue fontane.

 

La fontana dei faunetti

 

 

 

Superato il cancello di via Calandrelli ci si immette in un piccolo slargo dove si trova una fontana con motivi rupestri, la fontana dei faunetti, essa è databile tra il XVIII – XIX secolo e proviene con molta probabilità dal palazzo Visconti di Brignano d'Adda. Dentro una vasca ovale in pietra “rocaille” si trovano due vaschette laterali, da dove si alzano due piccoli zampilli. Tra le due vaschette vi è un gruppo scultoreo in pietra, raffigurantedue piccoli fauni che giocano con una capretta.

Dallo slargo si dipartono tre viali. Se si va a destra, percorrendo viale Klitsche, si incontra una grande uccelliera in ferro fatta costruire da G. Wurts per essere adibita all'allevamento dei pavoni bianchi e proprio di fronte ad essa c'è la Fontana dei Fauni.

 

Fontana dei Fauni (largo Minutilli)

Anche questa fontana proviene dal Palazzo Visconti di Brignano d'Adda, da dove fu trasferita completamente smontata e ricostruita nella sua interezza nel parco di Villa Sciarra. Essa ècostituita da una vasca semicircolare con due lobi laterali.

 

 

 

Il gruppo scultoreo, contenuto nel bacino, è addossato al muro di sostegno del terrapieno della parte più alta del giardino ed è composto da due fauni, maschio e femmina con i loro piccoli e sorreggono una grande conchiglia. La parte superiore della fontana è ornata da un fastigio con un putto nell’atto di incoronare il biscione, allusivo allo stemma araldico della famiglia Visconti. La corona è in ferro battuto. Il pannello centrale è racchiuso da due lesene, ciascuna delle quali termina con un capitello.

Dall’ingresso di via Calandrelli, percorrendo viale Wern, si incontra la fontana di Diana ed Endimione.

 

Fontana di Diana ed Endimione (Viale Wern)

La fontana è composta da un ampio bacino a fior di terra, circondato da una formazione a rocaille con andamento curvo a simulare un laghetto, alimentato da due zampilli. Sul bordo lungo si eleva un gruppo raffigurante Diana che contempla il bellissimo Endimione dormiente vegliato da fedele cane. Si tratta della rappresentazione della leggenda mitologica secondo la quale Diana (considerata nei suoi tre aspetti di cacciatrice, essere infernale e lunare, e sotto quest’ultimo identificata dai romani col nome di Selene) si sarebbe innamorata di Endimione, il quale, avendo offeso Giunone, la regina degli Dei, fu condannato da Giove ad un sonno di trent’anni in una grotta del monte Latmos, dove ogni notte Diana-Luna andava ad ammirarlo.

Il gruppo, in pietra, di provenienza lombarda è databile al XVIII secolo.

 

 

Diana ed Endimione

 

Riprendendo viale Le Ducq, si giunge alla palazzina Wurts, la quale è attualmente sede dell’Istituto Italiano di Studi Germanici. Di fronte alla palazzina troviamo un’altra fontana.

 

Fontana delle sfingi (Viale Leducq)

 

 

Palazzina Wurts con la fontana delle sfingi

 

Così come altre presenti nel giardino della villa, questa fontana proviene dal Palazzo Visconti di Brignanod'Adda. Essa è costituita da una vasca ovoidale in muratura con bordi in travertino al centro della quale s’innalza una piccola tazza circolare con zampillo centrale e tutt’intorno, simmetricamente al catino sono disposte le quattro sfingi, che rappresentano, nel simbolismo barocco, i quattro vizi capitali: l’ira (la sfinge ha una zampa appoggiata su un teschio), la gola (la sfinge è accovacciata su una cornucopia piena di frutti), l’avarizia (la sfinge è anch’essa accovacciata su una cornucopia dalla quale però escono delle monete) e la lussuria (la sfinge è posata su un tappeto di fiori).

Poco distante da questa fontana si trova la fontana dei putti o del biscione.

 

Fontana dei putti o del biscione (palazzina Wurts)

Anche questa fontana, risalente al XVIII secolo, proviene dal palazzo Visconti di Brignano d'Adda. E’ composta da un’ampia vasca mistilinea con una spalliera sul fondo a fronte della villa. La spalliera, anch’essa mistilinea, ha un vaso su ciascuna estremità ed un trofeo centrale sormontato da una sfera (il vaso di sinistra è mancante). Tra i vasi ed il trofeo sono impostati due timpani in stile rococò, chiusi da grate in ferro battuto. Su ciascun timpano sono raffigurati due puttini nell’atto di tendersi reciprocamente le mani in atto di danza. Al centro della vasca figurano altri due puttini, uno dei quali ha un elmo in capo, che fuoriescono dalle fauci spalancate di due delfini e che sorreggono uno scudo, sormontato da una corona, sul quale è scolpito in rilievo il biscione visconteo.

 

 

 

 

Esedra con le statue dei dodici mesi

 

Alla confluenza dei due viali, Leducq e Wern, si incontra l'Esedra Arborea, un angolo di villa molto scenografico. Si tratta di una siepe di lauro disposta a semicerchio (esedra) in cui sono state ricavate delle nicchie nelle quali sono state collocate dodici statue in arenaria, raffiguranti i mesi dell'anno.

 

 

 

  1. Fontana di Piazza Mazzini

 

Ci troviamo al centro del quartiere Della Vittoria, il XV quartiere di Roma.

Il quartiere è nato nel 1911, ma sarà ufficialmente istituito solo nel 1921 con il nome di Milvio. Nel 1935 verrà rinominato con il nome attuale, Della Vittoria, in riferimento alla vittoria nella prima guerra mondiale.

L'area (inizio al di qua delle caserme di via delle Milizie per terminare lungo la riva del Tevere ad est e alle pendici di Monte Mario a nord-ovest) prima di essere edificata era usata dall'esercito, che vi svolgeva esercitazioni militari, ed era chiamata Piazza d'Armi. Del resto la storia ci racconta che quest’area pianeggiante è stata lo scenario di tante invasioni: vi stazionarono infatti i visigoti di Alarico, poi i vandali di Genserico, i greci di Belisario, quindi i longobardi di Liutprando e poi a seguire le truppe di Carlo Magno, perfino quelle di Federico Barbarossa ed infine da qui passarono anche le truppe di Carlo III di Borbone, composte da soldati spagnoli e da mercenari tedeschi (i famigerati lanzichenecchi) che avrebbero devastato e saccheggiato Roma nel maggio del 1527. In questa zona si combatté anche la famosa battaglia di Ponte Milvio, avvenuta nell’ottobre del 312 d.C., tra l’Imperatore Costantino e Massenzio, che mise fine al regno di Massenzio. Secondo alcune fonti Costantino disponeva di circa 40.000 armati, mentre Massenzio poteva contare con almeno 100.000 armati.

Costantino condusse il suo esercito contro le forze di Massenzio, che aveva erroneamente posizionato i propri armati con alle spalle il fiume. Costantino, dopo aver condotto un lungo combattimento contro le ali dell'esercito di Massenzio, che furono travolte, constatò che la fanteria nemica era scoperta sui fianchi, e la caricò. La fanteria si ritirò, mentre i pretoriani, essendo in posizione sul fiume, avevano deciso di resistere fino all'ultimo.

Dopo un lungo ed aspro combattimento, che si sarebbe svolto in località Saxa Rubra, le truppe di Massenzio subirono una completa disfatta: mentre gli uomini volgevano in una fuga disordinata l'imperatore tentò di mettere tra sé ed i nemici il Tevere, finendo però per annegare nelle sue acque, durante il crollo del ponte che i suoi ingegneri militari avevano costruito a fianco di Ponte Milvio.

Il corpo di Massenzio fu ritrovato e la sua testa fu portata in parata dalle truppe vittoriose di Costantino.

Costantino fu accolto trionfalmente a  Roma  e proclamato imperatore unico d'Occidente. Dedicò la sua vittoria al Dio dei cristiani, di cui proibì le persecuzioni. Sotto la sua protezione, il cristianesimo si sviluppò senza essere perseguitato, mentre il clero acquisiva nuovi privilegi. Con l'editto proclamato nel 313 Costantino mise fine alla persecuzione dei cristiani.

Nella Vita di Costantino, Eusebio di Cesarea, dà una dettagliata descrizione della visione secondo cui Costantino stava marciando col suo esercito quando, alzando lo sguardo verso il sole, vide una croce di luce e sotto di essa la frase scritta in greco, che resa in latino dice:In hoc signo vinces"Con questo segno vincerai". Dapprima insicuro del significato della visione, Costantino ebbe nella notte un sogno nel quale Cristo lo esortò ad usare il segno della croce contro i suoi nemici.

 

Nel 1909 il quartiere fu urbanizzato all'interno del piano regolatore generale, elaborato da Edmondo Sanjust di Teulada sotto l'amministrazione di Ernesto Nathan. Il piano del quartiere usato fu quello elaborato da un urbanista tedesco, Joseph Stubben.

Essendo il terreno di proprietà dello Stato, in questa zona non si è avuta quella speculazione edilizia che ha colpito molti altri quartieri alla loro nascita (come ad esempio Prati). Infatti s'introdusse il principio secondo il quale i fabbricati alti fino a 24 metri si dovessero alternare a villini di due o tre piani. Anche le strade ed i viali furono progettati in modo da disegnare un quartiere aperto e non soffocato da costruzioni, addossate le une alle altre con vie di comunicazione insufficienti ed anguste.

Le prime case furono quelle costruite dall'Istituto Case Popolari fra via Sabotino e via Monte Nero: quattordici piccoli fabbricati poi demoliti negli anni sessanta.

 

 

Fontana di piazza Mazzini

 

Al centro della piazza intitolata a Giuseppe Mazzini, e nascosta dalla vegetazione, si trova una fontana, realizzata durante il periodo fascista. Precisamente questa fontana è stata realizzata nel 1927 dall’architetto Raffaele de Vico. Essa è costituita da una grande vasca quadrangolare con gli angoli smussati in corrispondenza dei quali si elevano quattro colonne ornate con i simboli del fascismo, vale a dire i fasci littori lungo il fusto delle colonne e le aquile in cima alle colonne stesse. Dal basamento delle colonne sgorga l’acqua, che si versa, attraverso elementi decorativi ricurvi in travertino, formando quattro piccole cascatelle, dentro delle tazze poste ai piedi delle cascatelle stesse. Ai lati delle tazze vi sono due mostri marini, dalle cui fauci fuoriesce uno zampillo d’acqua, che va a cadere dentro la tazza e quindi nella vasca grande.

 

  1. Fontana della Madonna dei Monti

Questa piazza, che si trova in via dei serpenti (rione Monti), prende nome dalla chiesa di Santa Maria dei Monti, popolarmente detta Madonna dei Monti.

 

Alcuni cenni storici. In questa zona operarono facendo opere di carità S. Alfonso Maria de’ Liguori con i suoi “pii operai”, tanto che la chiesa è nota anche col nome di “chiesa delli pii operai”, e S. Benedetto Giuseppe Labre, popolarmente conosciuto come il “Santo dei pidocchi” perché non li uccideva mai, in quanto diceva che erano anche loro creature del Signore e così se li teneva addosso per penitenza. Il Santo, che visse durante tutta la sua vita come un mendicante, tanto che può essere considerato un antesignano di quelli che oggi chiamiamo “barboni”, visse per diversi anni in questo quartiere, dove era molto popolare. Morì il 16 aprile del 1783 in una stanzetta messagli a disposizione dal suo amico il macellaio Francesco Zaccarelli al civico n. 2 di via dei serpenti. La povera stanza dove viveva è stata trasformata in oratorio e lì si conservano reliquie ed oggetti appartenuti al Santo, mentre le sue spoglie sono tumulate nella chiesa della Madonna dei Monti.

Per quanto riguarda la chiesa, questa era un fienile, e divenne un tempio mariano allorché gli operai, che stavano smantellando un muro, sentirono una voce che pregava di non far male al bambino. Stupiti, gli operai scoprirono una bellissima immagine (la stessa che si ammira ancora oggi sull’altare maggiore) rappresentante la Vergine col Bambino. La notizia di questo fatto prodigioso si sparse immediatamente e il fienile fu trasformato nell’attuale tempio mariano. La chiesa, progettata da Giacomo della Porta nel 1580, fu costruita durante il papato di Gregorio XIII. Essa ha una facciata che consta di due ordini.

Lungo via della Madonna dei Monti, di fianco alla chiesa, sorge il palazzo dei “Neofiti” o dei “catecumeni”. Il palazzo è così chiamato perché ospitava coloro che si convertivano al Cristianesimo. Il palazzo è caratterizzato da un grande portale e da una grande lapide di Urbano VIII. Inoltre vi è anche una bella edicola sacra in basso rilievo.

 

 

Madonna dei Monti

 

Passando a parlare della piazza abbiamo l’antichissima chiesetta dei SS. Sergio e Bacco. Di questa chiesa si ha notizia fin dall’anno 796, quando Papa Leone III l’arricchì di suppellettili varie. Nel corso dei secoli la chiesa passò in possesso di vari conventi e monasteri, finchè papa Urbano VIII l’affidò definitivamente ai monaci di S. Basilio. Nel 1718 fu scoperta sotto un intonaco una bella immagine della Vergine, oggi posta sull’altare maggiore e denominata: Madonna del pascolo.

 

 

Al centro della piazza è collocata la fontana, detta anche dei Catecumeni data la vicinanza dell’omonimo collegio, commissionata da papa Sisto V Peretti a Giacomo della Porta, il quale si ispirò nella realizzazione alla fontana, sita in piazza di Santa Maria in Trastevere.

Nel 1587,terminato il restauro ed il ripristino dell'antico Acquedotto alessandrino, chiamato da allora “Acqua Felice” dal nome del papa Sisto V, al secolo Felice Peretti, sotto il cui pontificato venne terminata l'opera, furono iniziati i lavori per una ramificazione sotterranea secondaria del condotto, in modo da assicurare l'approvvigionamento idrico delle zone dei colli Viminalee Quirinale, allora scarsamente serviti, e venne di conseguenza progettata anche la costruzione di un certo numero di fontane tra cui questa della Madonna dei Monti.

 

 

La vasca in travertino, di forma ottagonale, poggia su di un basamento, anch’esso di forma ottagonale, rialzato rispetto al piano della piazza e a cui si accede salendo quattro scalini.

Sulla vasca si alternano quattro stemmi papali e quattro comunali, a dimostrazione che l’opera venne eseguita anche con il contributo dell’amministrazione civica. Al centro della vasca si elevano due balaustri, che sostengono due catini in travertino di dimensioni decrescenti da quello più basso a quello più alto. Dal catino superiore, arricchito di maschere e festoni e sovrastato dai monti sistini, s’innalza uno zampillo che ricade nello stesso, versandosi poi nel catino inferiore, da dove attraverso quattro teste leonine ricade nella vasca ottagonale.

Nel 1680 Papa Innocenzo XI Odescalchi (1676 – 1689), vi fece eseguire alcuni lavori di restauro e a ricordo di ciò venne fatta un’iscrizione che recita: IMPERAT UNDECIMUS QUARTO INNOCENTIUS ANNO ET REDIVIVA FLUIT FACTA PERENNIS AQUA (nel quarto anno del pontificato di Innocenzo XI l’acqua, fatta per durare nel tempo, fluisce rediviva). Due secoli dopo, nel 1880, fu effettuato un altro restauro, stavolta a spese del Comune di Roma, che vi fece apporre un'altra iscrizione, che costituisce la continuazione, e forse anche uno sberleffo, di quella precedente: "FACTA PERENNIS AQUA EVERSO SED SQUALIDA FONTE NUNC INSTAURATO VIVIDA FONTE SCATET - SPQR A(NNO) MDCCCLXXX", ovvero (L'acqua, fatta per durare nel tempo ma squallida per la fonte rovinata, ora, dopo il restauro, zampilla vigorosa - SPQR Anno 1880).