Dove abitavano?
Le residenze dei gerarchi fascisti a Roma
26 ottobre 2025


Itinerario:Villa Torlonia+ Por ta S. Sebastiano + Piazzale Numa Pompilio - 15,3KM

https://maps.app.goo.gl/ihUMp2tUcvFWC7am9

1 - Edda e Galeazzo Ciano - via Angelo Secchi 9

La palazzina in via Angelo Secchi 9, costruita nel 1929, è stata resa famosa dal fatto che qui
comprò un appartamento all’ultimo piano, attico e superattico, Benito Mussolini per Edda
Ciano e il marito Galeazzo Ciano, nel 1933, anno in cui nacque la secondogenita Raimonda,
che proprio nel palazzo di via Angelo Secchi venne alla luce.
La palazzina fu costruita per Filippo Virgili nel 1929 dall’ing. Pietro Aschieri, ed è caratterizzata
da lastre che bordano le aperture prospetticamente “slittate” rispetto al piano
dell’edificio. All’attico e al superattico di questa palazzina nel 1933 verrà ad abitare Edda

Mussolini e Galeazzo Ciano, Da qui ogni domenica la famiglia Ciano si recava a Villa Torlonia a
pranzo dal Duce. E qui, la sera, i coniugi tenevano i loro ricevimenti, culminanti in lunghissime
partite a poker.
Edda continuò ad abitarvi anche dopo la guerra e la drammatica fine di Ciano, fucilato a Verona
nel 1944, concedendosi brevi passeggiate nel quartiere. Per tutti gli anni Cinquanta la figlia
del Duce, tornata dall’esilio di Lipari, si divise tra questo grande appartamento e la villa a Capri,
facendo una vita molto riservata. Alla fine degli anni Settanta, per esigenze economiche, Edda
si trasferì in un piccolo appartamento a via Paolo Frisi 38, sempre nel quartiere Pinciano, dove
visse fino alla sua scomparsa nel 1995.
Una curiosità: in questa via, prima della Seconda guerra mondiale, abitavano tre belle ragazze,
figlie di un commerciante affermato che, partendo da un negozio in via del Plebiscito, aveva
aperto per Roma diversi negozi di gomma ed altri materiali “moderni”. Erano le sorelle Tortima,
eredi dei negozi “Sorelle Adamoli”. Il primo negozio delle Sorelle Adamoli (erano tre) venne
aperto a Roma nel 1886, in piazza Venezia. Rilevato nel 1901 dal nipote Pietro Tortima, fu
spostato in via del Plebiscito 107, nel Palazzo Doria dove è stato aperto fino agli anni 2010.


2 - Pausa Caffè – Piazza Ungheria 7 – Caffè Hungaria


3 - Mussolini – Villa Torlonia

 

Negli anni 1920, Giovanni Torlonia concesse la residenza ufficiale a Benito Mussolini. Mussolini
con la sua famiglia si trasferì al Casino Nobile, mentre il principe si trasferì alla Casina delle
Civette.
Benito Mussolini visse a Villa Torlonia a Roma dal 22 luglio 1925 al 25 luglio 1943, periodo
durante il quale la villa divenne la sua residenza ufficiale e familiare. La villa gli fu concessa dal
principe Giovanni Torlonia Jr. per un affitto simbolico di una lira all'anno.
Mussolini e la sua famiglia risiedevano nel Casino Nobile, mantenendo in gran parte
l'arredamento originale. Mussolini dormiva nella stanza del principe al primo piano, mentre la
moglie Rachele occupava la stanza opposta; i figli e il personale abitavano al terzo piano. Lo
studio del Duce era adiacente alla sua camera da letto. I salottini al piano terra venivano
utilizzati per attività di studio e per ricevere ospiti, sebbene raramente venissero ospitate
personalità di rilievo, poiché Mussolini preferiva mantenere una certa riservatezza nella sua
abitazione.

La sala da ballo della villa fu utilizzata per proiezioni cinematografiche private e occasionali
ricevimenti. Un evento degno di nota fu la visita di Mahatma Gandhi nel 1930, durante la quale
partecipò a un ricevimento nella sala da ballo della villa.
Villa Torlonia fu comunque protagonista delle celebrazioni per il matrimonio di Edda con
Galeazzo Ciano: la villa ospitò un ricevimento il giorno 23 aprile 1930, alla vigilia delle nozze
che furono poi celebrate nella chiesa di San Giuseppe in via Nomentana. Molte foto d’archivio
ritraggono gli sposi e i familiari attorno alla villa — sotto il portico, su terrazze o all’interno delle
sale — subito dopo o prima della cerimonia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Mussolini fece costruire due bunker antiaerei per
proteggere la famiglia dai bombardamenti. Il primo bunker fu realizzato nel seminterrato della
villa, con muri in cemento armato spessi 120 cm. Successivamente, fu iniziata la costruzione
di un secondo bunker a 6,5 metri di profondità, con muri spessi circa quattro metri, progettato
per resistere a bombardamenti e attacchi chimici. Tuttavia, questo secondo bunker non fu mai
completato.
Durante il conflitto, Donna Rachele promosse la coltivazione di orti di guerra all'interno della
villa, piantando patate, insalata, viti e granoturco. Furono inoltre installati un pollaio, un porcile
e una stalla per conigli presso le Scuderie Vecchie, con l'obiettivo di contribuire
all'autosufficienza alimentare della famiglia.
Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943, la famiglia Mussolini lasciò la villa. Dal
1944 al 1947, la proprietà fu occupata dal comando alleato anglo-americano.
Successivamente, la villa fu acquistata dal Comune di Roma nel 1977 e trasformata in parco
pubblico, con restauri iniziati negli anni '90.
 



4 - Ettore Muti - Porta San Sebastiano

 


Porta San Sebastiano, originariamente nota come Porta Appia, è una delle più grandi e meglio
conservate porte delle Mura Aureliane di Roma.
Tra il 1940 e il 1943, l'architetto Luigi Moretti fu incaricato di trasformare gli ambienti interni
della porta in una residenza privata per Ettore Muti, allora segretario del Partito Fascista.
Moretti progettò un appartamento che combinava elementi storici con esigenze moderne,
creando spazi abitativi all'interno delle antiche strutture difensive. L'intervento mirava a
fondere l'architettura storica con le necessità abitative contemporanee, riflettendo l'ideologia
del regime che cercava di legare il presente al glorioso passato romano.
La ristrutturazione di Porta San Sebastiano a Roma da parte dell'architetto Luigi Moretti tra il
1940 e il 1943 è un esempio significativo di come il regime fascista cercasse di integrare
elementi storici dell'antichità romana con la modernità e le esigenze simboliche del regime.

L'intervento di Moretti rappresenta un momento unico nell'architettura del periodo fascista,
che rifletteva la propaganda del regime nel richiamarsi al passato glorioso di Roma.
Luigi Moretti, uno degli architetti più brillanti e innovativi del periodo, fu incaricato di
ristrutturare Porta San Sebastiano per renderla una residenza funzionale, ma anche
rappresentativa dell'ideologia fascista. L'intervento di Moretti si sviluppò in diverse fasi:
Trasformazione Interna:
Funzionalità abitativa: Moretti adattò gli spazi interni, originariamente concepiti per scopi
difensivi, per creare ambienti confortevoli e moderni. Ciò comportò l'inserimento di elementi
funzionali come scale, stanze e arredi.
Stile razionalista: Nonostante la presenza di mura antiche, Moretti mantenne uno stile
razionalista, integrando linee essenziali e materiali moderni che si adattassero
armoniosamente alla struttura originaria.
Decorazioni: L'interno della porta fu arricchito con elementi decorativi ispirati alla romanità,
come mosaici, bassorilievi e motivi geometrici che richiamavano l’architettura classica.
Valorizzazione storica: Moretti conservò le caratteristiche originarie della porta, come gli archi
e i bastioni, enfatizzandone la monumentalità.
Interventi simbolici: Aggiunse dettagli che celebravano l’ideologia fascista, come fasci littori
stilizzati e altri simboli di potere.
La torre di Porta San Sebastiano fu trasformata in un ambiente abitabile, con una scala interna
che collegava i diversi piani e una terrazza panoramica da cui era possibile dominare la vista
sulle Mura Aureliane e sull’Appia Antica.
Materiali: Moretti utilizzò materiali semplici e funzionali, come il marmo e il travertino,
combinati con elementi originali della struttura romana.
Illuminazione: Gli ambienti furono progettati per sfruttare al massimo la luce naturale,
attraverso aperture strategiche che rispettavano la struttura originaria delle mura.
Arredi: Gli arredi interni erano minimalisti, coerenti con lo stile razionalista, ma arricchiti con
dettagli che richiamavano il fascino dell'antichità romana.
Dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943, la residenza di Ettore Muti fu saccheggiata, e molti
degli interventi interni andarono perduti.
Successivamente, Porta San Sebastiano è stata restaurata e oggi ospita il Museo delle Mura,
offrendo ai visitatori un itinerario sulle fasi costruttive delle mura di Roma, arricchito da plastici,
calchi e pannelli tattili. La visita comprende anche una suggestiva passeggiata sul tratto di
camminamento che si dirige verso la via Cristoforo Colombo
Chi era Ettore Muti

Ettore Muti (1902–1944) è stato uno dei principali esponenti del fascismo italiano e una figura
di grande rilevanza durante il periodo del regime di Benito Mussolini. La sua carriera politica e
la sua vita sono state segnate da un forte impegno nel movimento fascista, che lo portò a
ricoprire ruoli di grande responsabilità e a diventare uno dei gerarchi più noti del regime.
Tuttavia, la sua figura è anche legata a numerose controversie, sia per il suo estremismo
ideologico che per la sua morte violenta.
Giovinezza e Inizio della Carriera Politica
Ettore Muti nacque il 10 luglio 1902 a Cesena, in Emilia-Romagna, da una famiglia borghese.
Dopo aver studiato giurisprudenza all'università, decise di dedicarsi alla politica. Si avvicinò al
fascismo fin da giovane, attratto dalle sue idee di nazionalismo e dalla retorica della
"rivoluzione fascista", che voleva restaurare la grandezza di Roma.
Negli anni '20, si unì ai Fasci di Combattimento, l'organizzazione politica fondata da Benito
Mussolini, che sarebbe poi diventata il Partito Nazionale Fascista. Fu subito notato per il suo
carisma e la sua determinazione, che gli permisero di acquisire una posizione di rilievo
all'interno del movimento fascista.
Ruolo nel Partito Fascista
Muti divenne uno dei più importanti e fedeli sostenitori di Mussolini, guadagnandosi la fiducia
del Duce per la sua lealtà e la sua capacità di mobilitare le masse. Durante gli anni '30, Muti
continuò a scalare la gerarchia del Partito Fascista, diventando una delle figure più influenti del
regime. Fu nominato segretario del Partito Fascista in Emilia-Romagna e in seguito ricoprì vari
incarichi di prestigio, tra cui quello di capo della milizia fascista.
Muti si distinse per il suo approccio radicale al fascismo, sostenendo una linea dura e
autoritaria. Non esitava a reprimere con violenza chiunque si opponesse al regime, e la sua
figura venne associata a un fascismo intransigente e implacabile. Era noto per la sua ambizione
e la sua determinazione nel far prevalere la disciplina fascista.
Ruolo nella Seconda Guerra Mondiale
Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, Muti mantenne un forte sostegno alla
politica bellica di Mussolini, appoggiando l'alleanza con la Germania nazista e le decisioni del
regime. Durante la guerra, il suo ruolo fu principalmente politico e di controllo, poiché Muti non
partecipò direttamente alle operazioni militari, ma continuò a occuparsi della gestione del
partito e della milizia.
Nel 1943, in seguito al crollo del regime fascista, Muti rimase una figura di riferimento per l'ala
più estremista del fascismo. Quando Mussolini fu arrestato dopo l'armistizio dell'8 settembre
1943, Muti aderì alla Repubblica Sociale Italiana (RSI), il governo fascista istituito nel nord Italia
dai nazisti, continuando a lottare per il ritorno al potere di Mussolini.
Ultimi Anni e Morte

La fine di Muti giunse il 4 gennaio 1944, quando fu arrestato dai partigiani italiani nei pressi di
Vimercate, vicino Milano, e giustiziato sommariamente. La sua morte fu violenta e simbolica:
fu ucciso come uno dei "gerarchi" più fedeli e intransigenti del fascismo, che non era riuscito a
prevenire il crollo del regime.
La sua figura è rimasta quella di un fervente sostenitore della causa fascista e di un uomo
pronto a sacrificare ogni valore per il regime. La sua morte rappresentò la fine simbolica di
un’epoca e la conclusione tragica del suo impegno nell’idea fascista.
Eredità e Controversie
Ettore Muti è ricordato come uno dei gerarchi più radicali e fedeli al fascismo. La sua vita e la
sua carriera sono segnate da un impegno assoluto per la causa del regime e dalla sua violenza
verso chiunque si opponesse al suo progetto politico. La sua figura è stata oggetto di critiche e
di riflessioni da parte di storici e politici, che ne hanno messo in evidenza l'ideologia estremista
e la sua fedeltà cieca a Mussolini.
Oggi, Muti è una figura simbolica del fascismo più duro, spesso ricordato per la sua
intransigenza e la sua tragica fine.



5 - Dino Grandi – piazzale Numa Pompilio



In principio fu del gerarca bolognese Dino Grandi, l’uomo che con l’omonimo ordine del giorno,
portò alla destituzione di Mussolini, il 25 luglio 1943. Poi, nel 1958, divenne la villa di Alberto
Sordi, fino alla morte, nel 2003. Oggi l’Albertone nazionale, ultimo simbolo di una romanità che
non esiste più, avrebbe compiuto 100 anni. Nato il 15 giugno del 1920 a Trastevere, una vera
maschera italiana e, soprattutto romana.
La villa che dal 1958 al 2003 fu l’abitazione di Sordi, era stata costruita nel 1932 da Clemente
Busiri Vici, appartenente a una dinastia di architetti e urbanisti, per Alessandro Chiavolini,
segretario particolare del Duce, anche se la leggenda narra che il proprietario fosse un altro
gerarca fascista, decisamente più noto, Grandi
L’abitazione di via Druso, che domina le terme di Caracalla, ben visibile da Piazza Numa
Pompilio, fu realizzata seguendo uno stile eccentrico e tradizionale al tempo stesso. Nella villa,
oggi divenuta Museo, Sordi si era fatto costruire oltre che una piccola sala di proiezioni, anche
una barberia.
Chi era Alessandro Chiavolini
Laureato in giurisprudenza, nel 1910 iniziò a lavorare come giornalista per alcune pubblicazioni
minori, tra le quali La Lombardia e L'Oceano, da lui stesso fondato nel 1912.[1] Nel 1914 divenne
cronista del Popolo d'Italia, dove lavorò fino al 1937, alternando all'attività giornalistica quella

di autore di fiabe scritte a quattro mani con l'allora compagna Mura,[2] autore di commedie
teatrali, e traduttore.[1]
Ottenuta la fiducia di Benito Mussolini per le sue doti di riservatezza, nel 1921 ne divenne
segretario particolare, e con la sua salita al potere diventò anche segretario particolare del
gabinetto della presidenza del consiglio dei ministri. Ebbe un ruolo discreto ma centrale di
filtro, organizzazione e mediazione nell'agenda politica di Mussolini.[1]
Tra il gennaio e il dicembre 1929 fece parte del Gran Consiglio del Fascismo. Nel 1934
abbandonò la segreteria del gabinetto, e si trasferì in Libia, dove anni prima aveva ottenuto la
concessione di un largo appezzamento di terra, che con impegno bonificò e trasformò in una
proficua azienda agricola.[1] Nel 1938 vendette l'azienda all'Istituto nazionale fascista di
previdenza sociale e rientrò in Italia, dove fu consigliere di amministrazione di importanti
società e dove fu nominato Ministro di Stato nel dicembre 1939.[1][3]
Nel dopoguerra fu arrestato e processato per i suoi legami con il fascismo. Condannato a 14
anni di carcere, ne scontò soltanto uno prima di essere amnistiato dalla Legge Togliatti. Da
allora uscì di scena, ritirandosi da ogni attività pubblica.[1]
Chi era Dino Grandi
Nato a Mordano nel 1895 da una benestante famiglia romagnola, Dino Grandi è passato alla
storia per la presentazione dell'omonimo ordine del giorno al Gran consiglio del fascismo del
25 luglio 1943 che portò alla destituzione di Benito Mussolini. Dopo aver frequentato la facoltà
di giurisprudenza all'Università di Bologna, si appassionò sin da giovane alla politica nazionale.
Prima degli anni Venti del Novecento cominciò a seguire proprio Mussolini.
Si iscrisse al Fascio di combattimento di Bologna, dove assunse in breve tempo un ruolo di
primo piano. Gli fu affidata la direzione del settimanale "L'Assalto", l'organo del movimento, e
fu eletto nel direttorio. Poi, nel 1921 fu eletto segretario regionale. Ma il suo ingresso nella
leadership fascista era ancora in fase embrionale.
Grandi fu sottosegretario all'Interno tra 1924 e il 1925 e agli Esteri dal 1925 al 1929, con
Mussolini ministro ad interim, e ministro degli Esteri dal 1929 al 1932, quando lasciò il suo
incarico a capo del ministero per andare nel mese di luglio a Londra, dove rimase come
ambasciatore d'Italia nel Regno Unito fino al 1939. Sempre nel 1939 fu ministro della Giustizia.
Poi con la morte nel giugno 1939 del presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni,
Costanzo Ciano, si dovette trovare un successore. E la scelta ricadde su Grandi, che il 30
novembre 1939 assunse l'incarico, mantenendo anche quello di Guardasigilli fino al febbraio
1943.
Dino Grandi fu l'autore dell'ordine del giorno presentato alla riunione del Gran consiglio del
fascismo del 24-25 luglio 1943 al termine della quale Benito Mussolini fu messo in minoranza.
Il che provocò la fine del fascismo. A renderlo possibile furono una serie di mosse strategiche
volute dallo stesso Grandi e dal Re Vittorio Emanuele III. Grandi era profondamente convinto
che gli sbagli di Mussolini avevano posto in pregiudizio la sopravvivenza stessa del fascismo e
per questo bisognava fare qualcosa.
La votazione sull’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, che prevedeva la sfiducia a
Mussolini, avvenne alle 2:30 del 25 luglio: 19 votarono a favore, 7 furono contrari, uno si
astenne.
Per aver voluto e sostenuto la mozione del 25 luglio, egli nel 1944 fu condannato a
morte in contumacia da un tribunale fascista della Repubblica Sociale Italiana, assieme ad
altri autorevoli personaggi del passato regime fascista, durante quello che è noto come
il processo di Verona.
Ad agosto del 1943 fu inviato in Spagna con l'incarico di stabilire un primo contatto con gli
Alleati, ma il suo tentativo fu inutile, perché meno di un mese dopo, l'8 settembre 1943, l'Italia
si arrese senza condizioni. L'allora presidente Usa Franklin Delano Roosevelt decise però di
porre il veto alla sua candidatura a nuovi incarichi di governo segnò la fine della sua carriera
politica.
Nel 1943 si trasferì dalla Spagna al Portogallo, ove risiedette sino al 1948. Processato nel 1947
in quanto ex gerarca fascista, Grandi venne assolto dall'accusa di coinvolgimento in attività
criminose.
Gli anni quaranta furono duri: in Portogallo diede delle ripetizioni di latino, mentre la moglie
lavorò come modista per sopravvivere. La fortuna ritornò negli anni cinquanta, quando ebbe
incarichi di rappresentanza per la FIAT. Nello stesso periodo fu consulente assiduo delle
autorità statunitensi, in particolare dell'ambasciatrice a Roma, Clare Boothe Luce. Grandi servì
spesso da intermediario in operazioni politiche e industriali tra Italia e Stati Uniti. Si trasferì
quindi in America Latina, ove visse soprattutto in Brasile, divenendo proprietario di una tenuta
agricola.
Il rientro definitivo in Italia avvenne negli anni sessanta: Grandi aprì una fattoria modello nella
campagna di Modena, ad Albareto. In Italia stabilì un ventennale rapporto intellettuale con il
più importante storico del fascismo, Renzo De Felice. Infine prese casa a Bologna nel centro
storico, dove morì nel 1988 poco prima di compiere 93 anni, tre anni dopo la pubblicazione
della sua autobiografia politica “Il mio paese”.
È sepolto nel cimitero monumentale della Certosa di Bologna.