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NEL CENTENARIO DELLA NASCITA:

LA ROMA DI FELLINI

 

UNA PASSEGGIATA DENTRO AI FILM

DEL GENIO DEL CINEMA MONDIALE

E NEI LUOGHI DA LUI AMATI

 

INTRODUZIONE

     Federico Fellini (Rimini 20 gennaio 1920 – Roma 31 ottobre 1993) è stato un regista, sceneggiatore, ma anche fumettista e scrittore.

     Considerato uno dei maggiori registi della storia del cinema, nell’arco di quarant’anni ha “ritratto” una piccola folla di personaggi memorabili. Definiva se stesso “un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo”. Ha lasciato opere ricche di satira e velate di una sottile malinconia, caratterizzate da uno stile onirico e visionario non è inquadrabile in un genere ben definito, è un poeta visionario che fa dell’autobiografia una cifra stilistica. I titoli dei suoi film, come “La strada”, “Le notti di Cabiria”, “La dolce vita”, “8 e mezzo”, “Amarcord” sono diventati dei luoghi comuni, citati in lingua originale in tutto il mondo.

     Quattro suoi film hanno vinto il premio Oscar, 12 volte candidato, nel 1993 gli è stato conferito il premio Oscar alla carriera. Ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1960 e il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1985.

 

     Nasce da una famiglia modesta, il padre rappresentante di liquori e dolciumi, la madre casalinga originaria di Roma (Esquilino). Si diploma al liceo classico di Rimini mostrando un talento di disegnatore (caricature). Agli inizi del 1939 si trasferisce a Roma in via Albalonga per frequentare l’università (Giurisprudenza, ma non sosterrà nemmeno un esame), ma con il desiderio di fare il giornalista.

 

     Pochi mesi dopo il suo arrivo a Roma esordisce sul Marc’Aurelio, rivista satirica, come disegnatore satirico e giornalista. Conosce personaggi del mondo dello spettacolo, come Erminio Macario e Aldo Fabrizi, scrive copioni e gag. Nel 1941 viene chiamato a collaborare con l’EIAR, la Rai di allora, per essa scrive copioni di trasmissioni musicali e riviste, in questo lavoro conosce Giulietta Masina che diventerà sua compagna inseparabile e interprete dei suoi film, la sposerà il 30 ottobre del 1943.

     Fra il 1942 e il 1943 collabora  alla sceneggiatura di alcuni film tra cui “Avanti c’è posto” e “Campo de’ Fiori” di Mario Bonnard; conosce Roberto Rossellini, collabora alle sceneggiature di “Roma città aperta” e “Paisà”, opere che aprono la stagione del neorealismo. Seguono sceneggiature di diversi film.

 

     Nel 1950 Fellini esordisce alla regia con “Luci del varietà” con Alberto Lattuada, il soggetto è il mondo dell’avanspettacolo, un tema caro a Fellini. Nonostante i giudizi positivi della critica, l’esito finanziario è pessimo. Nel 1952 giunge all’esordio assoluto come regista con “Lo sceicco bianco[1], con Antonioni coautore nel soggetto, Flaiano coautore della sceneggiatura e un grande Alberto Sordi. Con questo film si definisce lo stile di Fellini, una sorta di realismo magico, onirico, che verrà chiamato fantarealismo. Insuccesso al botteghino, insuccesso della critica, tranne Callisto Cosulich. Segue il film “I vitelloni” (1953) che racconta la vita di provincia di un gruppo di amici della riviera romagnola. L’accoglienza è entusiastica, vince il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia, riscuote successo anche in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. L’articolazione della trama in grandi blocchi episodici diventerà un tratto distintivo di molti suoi film. I personaggi del film sono destinati a rimanere nella memoria collettiva. Il film è autobiografico, ma mischiato con la fantasia.

     Il grande successo internazionale arriva a Fellini nel film “La strada”, girato nel 1954, è la storia di due strampalati artisti di strada, Gelsomina, interpretata da Giulietta Masina e Zampanò interpretato da Anthony Quinn. Durante la lavorazione del film si manifesterà in Fellini la depressione che lo seguirà per anni. Nel 1957 il film ebbe il premio Oscar.

     Seguono due film, “Il bidone[2] che non fu accolto positivamente dalla critica e non ebbe successo di pubblico, e “Le notti di Cabiria”, grande successo e ancora premio Oscar. In entrambi protagonista è Giulietta Masina; questi ultimi tre film sono ambientati nel mondo degli umili e degli emarginati.

 

     Nel 1960 esce “La dolce vita”, un film che abbandonava gli schemi narrativi tradizionali, destò scalpore e polemiche perché oltre a situazioni erotiche, descriveva una certa decadenza morale che strideva con il benessere di quegli anni. Nel film Marcello Mastroianni, la svedese Anita Ekberg. Il film fu premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes. La consacrazione avviene con il film “Otto e mezzo” (1963) la storia di un regista che voleva fare un film ma non si ricorda più quale, il regista in questione è lui stesso. Prende questo titolo perché la pellicola viene dopo sei film interamente diretti da lui più tre mezzi, cioè diretti con altri. Premiato con il Premio Oscar, il film è considerato una dei più grandi della storia del cinema.

     Con “Giulietta degli spiriti”, sempre con la Masina, Fellini adotta per la prima volta il colore, durante la lavorazione del film Fellini ha un forte interesse verso il soprannaturale, frequenta maghi e veggenti, prova l’LSD a scopo terapeutico sotto prescrizione medica. L’accoglienza della critica è tiepida, come del botteghino. Si incrina il rapporto con Ennio Flaiano. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta Fellini intraprende un intenso lavoro creativo. Rinnova completamente la squadra tecnica e artistica, gira il documentario Fellini Satyricon (1969), è di nuovo grande successo.

 

     Seguono tre film tutti incentrati sulla memoria: “I clowns” (girato per la tv, 1970), “Roma” (1972) e “Amarcord” (mi ricordo in dialetto romagnolo, questo vince l’Oscar, 1973). Sono i tre luoghi tipici di Fellini, il circo, Roma la città del lavoro e del successo, Rimini la città dell’infanzia. Ma nemmeno una scena di Amarcord è girata a Rimini, è autobiografico ma lo negherà sempre. Seguono gli anni della maturità, nei quali lo stile di Fellini si è ormai delineato: Casanova (1976), Prova d’orchestra (1979) maturato durante gli anni di piombo e “La città delle donne” (1980). Seguono gli anni delle tv commerciali, “non si interrompe un’emozione” dichiara Fellini per i tanti spot che interrompono i film. L’ultimo decennio di attività di Fellini presenta quattro film: “E la nave va” (1983), “Ginger e Fred” (1986) e “Intervista” destinato alla TV del 1987 e “La voce della luna” (1990) con due protagonisti: Benigni e Villaggio, questo si pone come un elogio della follia e una satira sulla volgarità degli anni di Berlusconi. Woody Allen e Martin Scorsese si prodigarono per far distribuire il film in America.

 

     A giugno 1993 Fellini si sottopone a tre interventi chirurgici per ridurre un aneurisma all’aorta addominale, ad agosto è colto da ictus e dieci giorni dopo anche Giulietta Masina si ammala a Roma, lontana dal suo amato che si trova a Rimini, poi trasferito a Ferrara. Muore al Policlinico Umberto I il 31 ottobre 1993. I funerali vengono celebrati dal cardinale Achille Silvestrini nella Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, Giulietta Masina morirà cinque mesi dopo. Le sue spoglie e quelle della moglie riposano nel cimitero di Rimini sovrastate da una scultura di Arnaldo Pomodoro ispirata dal film “E la nave va”. Tutte le strade di Rimini che sboccano al mare sono intitolate ai suoi film.

 

 

ITINERARIO

FONTANA DI TREVI

     Tutti conoscono il film di Fellini “La dolce vita” (1960), vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes, che ha segnato un’epoca e gli ha dato il nome. E’ impossibile non ricordare la scena del film in cui Anita Ekberg si immerge nella fontana e chiama il protagonista Marcello Mastroianni, lui la segue come ubriacato dalla sua bellezza. Quel giorno faceva un freddo terribile, per convincere Mastroianni ad entrare nella fontana, sotto il vestito di scena, gli fecero indossare una vera e propria tuta da sub. Ma siccome aveva ancora freddo gli fecero bere una intera bottiglia di vodka.

     La scena è citata nel film “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola (1974), Nino Manfredi e Stefania Sandrelli si incontrano mentre si sta girando la famosa scena. Mastroianni e Fellini recitano nel ruolo di loro stessi.

 

     “La dolce vita” è un film drammatico, di 180 minuti, il soggetto è di Fellini, Flaiano, Pinelli; alla sceneggiatura lavorò anche Pier Paolo Pasolini (non accreditato). Interpreti e personaggi: Marcello Mastroianni (Fontana Liri 1924 – Parigi 1996) in Marcello Rubini, Anita Ekberg (Malmo 1931 – Rocca di Papa 2015) in Sylvia, Anouk Aimée in Maddalena.

 

     Marcello Rubini è un giornalista che si occupa di servizi scandalistici con l’ambizione di diventare scrittore di romanzi. Un elicottero sorvola Roma portando una statua di Cristo, un altro lo segue con Marcello, passa su una terrazza dove ci sono ragazze in costume che prendono il sole.

     Marcello si trova in un locale notturno in stile orientale per un servizio su una famiglia reale. Prese informazioni, si offre di accompagnare una bella ragazza Maddalena (Anouk Aimée). La coppia si reca in piazza del Popolo dove convince una prostituta a salire in macchina. Vanno tutti e tre in casa della donna nella periferia che nella finzione è Cessati Spiriti, invece è a Tor de Schiavi, qui passano la notte facendo l’amore. La mattina pagano.

     Emma (Yvonne Furneaux), la compagna di Marcello, intuisce il tradimento e tenta il suicidio ingerendo pasticche, Marcello la salva portandola in ospedale, che è il piano interrato del palazzo dei Congressi.

     Marcello viene incaricato di seguire una famosa attrice di Hollywood, la svedese Sylvia (Anita Ekberg), arriva all’aeroporto di Ciampino, la accolgono le autorità, i paparazzi, una pizza gigante, entra in città passando per l’Appia Antica, riceve giornalisti e fotografi, risponde alla domande, sale sulla cupola di San Pietro (ricostruita in studio). Di notte partecipa ad una festa in un locale nel quale il personale è vestito da antichi romani, un cantante imita Celentano, qui Sylvia litiga con il fidanzato che si sta ubriacando, fugge, Marcello la segue, gli offre un passaggio in macchina, passeggiano per le vie di Roma, l’attrice insiste nel cercare il latte per il gattino da lei trovato, improvvisamente eccoli davanti alla fontana, senza esitare un istante la donna entra in acqua chiamando: “Marcello”, lui la segue, tenta di toccarla senza riuscirci, come se una diva del cinema fosse inaccessibile, il flusso dell’acqua si interrompe, si fa giorno, la folle notte dei due giovani è finita, dovranno tornare alla realtà. Quando rientrano in albergo, il fidanzato di Sylvia prima dà uno schiaffo ad Anita, poi sferra tre pugni a Marcello sotto gli occhi dei paparazzi.

 

     Questa scena è stata citata innumerevoli volte, addirittura nel film “C’eravamo tanto amati” (1974) di Ettore Scola, i protagonisti (Nino Manfredi e Stefania Sandrelli) si incontrano, dopo tanti anni, proprio mentre si sta girando la scena citata, i protagonisti di allora (Fellini e Mastroianni) interpretano se stessi.

 

     Marcello va a Cinecittà, davanti alla chiesa di Don Bosco incontra un amico l’intellettuale Enrico Steiner, entrano in chiesa, l’amico suona l’organo, ma l’interno della chiesa è quello dei Santi Martiri Canadesi al Nomentano.

     Il popolo è in preda ad un episodio di fanatismo religioso per due bambini (Dario e Maria, fratelli) che sostengono di aver visto la Madonna su un albero. Interviene la polizia che ferma i bambini, le preghiere dette sotto la pioggia sono in latino. La folla distrugge l’albero per prenderne qualche rametto, tra queste persone c’è Emma, spera così di risollevare il suo amore.

     Marcello e la moglie vanno a casa di Steiner dove ci sono vari amici, intellettuali, filosofi, si vede un quadro di Morandi con le bottiglie, parlano del quadro, compaiono i due figli e Steiner parla della gioia di tenerli per mano. Marcello e l’amico si appartano e parlano del senso della vita.

     Marcello è in una trattoria sul mare per scrivere a macchina, non riesce a concentrarsi, inizia a parlare con la giovanissima cameriera che vorrebbe fare la dattilografa. Marcello le dice che ha un profilo simile agli angioletti delle chiese. La scena è stata girata a Passoscuro.

    Marcello incontra il vecchio padre in un caffè all’aperto di via Veneto, passano la serata in un locale quindi in compagnia di donne, ma il padre si sente male, decide di tornare subito a Rimini.

     In un castello fuori città, il palazzo Giustiniani Odescalchi di Bassano Romano, si svolge una festa dell’alta società, qui Marcello incontra Maddalena (Anouk Aimée) che le chiede di sposarla, si inseguono con un gioco di voci, ma poi si perdono. In un edificio abbandonato – posto nel parco del castello - si tiene una seduta spiritica.

     Marcello ed Emma litigano in auto, lui la lascia sola in strada, il giorno dopo passa a riprenderla e portarla a casa, passano la notte insieme. Qui viene raggiunto dalla notizia che il suo amico scrittore Steiner ha ucciso i suoi due figli e poi si è ucciso, corre a Don Bosco, a casa dell’amico, dalla finestra di casa si vede il palazzo dello Sport e il Fungo dell’Eur. Con il commissario di Polizia va incontro alla moglie di Steiner per darle la tragica notizia. La scena avviene in piazza Don Bosco con i palazzi in costruzione. Si vede il bus dell’Atac con la fermata provvisoria e la guida a destra. Gli alberelli della piazza sono piccoli, i pali della luce sono in cemento.

     Un altro party si tiene in una villa sul mare, vi sono due travestiti che ballano, qui avviene lo spogliarello di Nadia (Nadia Gray), e un orgia collettiva. Per questa scena Fellini si ispirò ad un fatto di cronaca veramente accaduto. Nel 1958 nel ristorante Rugantino di Trastevere vi fu lo spogliarello di Aiche Nanà, ballerina di origine armena nata a Beirut. Nonostante fosse una festa privata, ed il locale tutto riservato agli ospiti di un miliardario americano, la ballerina venne condannata a due mesi per atti osceni e il padrone del locale pagò una multa. Tutte le foto furono sequestrate, solo Tazio Secchiaroli riuscì a salvarla.

     All’alba tutta la comitiva si sposta sulla spiaggia (Fregene – Passoscuro) Marcello incontra la cameriera che vuole fare la dattilografa, ma sono separati da un piccolo fiume, lei vorrebbe parlarle, ma lui non riesce a sentirla, la saluta e va via.

 

     Alla prima a Milano nel cinema Capitol il film fu fischiato, Fellini fu sputato da una donna che l’accusava di consegnare il paese ai comunisti, in un solo giorno Fellini ricevette 400 telegrammi che lo accusavano di essere comunista, ateo e traditore. Su l’Osservatore Romano apparvero due articoli contro il film, il giorno successivo c’era la fila per vedere il film.

 

     Fontana di Trevi. Nel 19 a.C. Agrippa fece costruire per le sue terme un canale di 20 Km che condusse a Roma l’Acqua Vergine, cosiddetta perché vuole la tradizione che una fanciulla (Virgo) ne mostrasse la sorgente ai soldati assetati. Niccolò V[3] fece riparare i danni che avevano ostruito per otto secoli le condutture e fece costruire da Leon Battista Alberti la vasca terminale (1453), la fontana fu quindi restaurata da Urbano VIII[4] (con le entrate della tassa sul vino, per cui Pasquino disse: “Urban poi che di tasse aggravò il vino, ricreò con l’acqua il popol di Quirino”). Infine Clemente XII[5] bandito un concorso per un monumentale “mostra”, ne affidò l’esecuzione a Nicolò Salvi[6], che ne fece il suo capolavoro (1732-62). Ebbe tre inaugurazioni, nel 1735 da parte di Clemente XII, poi con Benedetto XIV, infine con Clemente XIII nel 1762. E’ antica usanza dei forestieri buttare una monetina nella vasca per assicurarsi il ritorno a Roma.

     Dal nicchione centrale si stacca la colossale figura dell’Oceano, trascinato sul cocchio a conchiglia da due cavalli marini, il cavallo sfrenato e il cavallo placido, guidati da tritoni. La scogliera si estende a coprire la base del palazzo, mentre l’acqua scroscia rimbalzando  sui bacini e nella gran vasca (80.000 metricubi di acqua al giorno, che alimentano le fontane delle piazze Farnese, Navona, di Spagna e il ninfeo di villa Giulia). Nella nicchia sinistra l’Abbondanza di Filippo Valle[7], sopra Agrippa approva il disegno dell’acquedotto, rilievo di Andrea Bergondi; nella nicchia a destra la Salubrità di Filippo Valle, sopra La vergine indica la sorgente ai soldati, rilievo di Giovan Battista Grossi; contro l’attico statue delle stagioni. Sul fastigio lo stemma Corsini sorretto da geni alati di P. Benaglia. Davanti alla fontana si incurva una gradinata con sedili, formante una specie di cavea.

 

 

VIA VENETO

     Altro simbolo della “Dolce vita”, il mito degli anni Sessanta scandito dalla presenza dei paparazzi, attori, attrici e registi di Hollywood, la strada è presente nel film ma venne ricostruita negli studi di Cinecittà, difatti era pianeggiante, mentre nella realtà è in salita verso porta Pinciana. Sono gli anni della Hollywood sul Tevere, si potevano incontrare Sophia Loren, Anita Ekberg, Ava Gardner, John Wayne, Burt Lancarster, Frank Sinatra, nel 1957 Walter Chiari insegue il fotografo Tazio Secchiaroli, viene immortalato da un altro paparazzo, il termine paparazzo è il simbolo del mestiere il cui nome viene ripetuto più volte nel film “La dolce vita”.

     Fellini frequenta il caffè Doney, incontra amici e colleghi. Qui la città lo ha omaggiato intitolandogli il largo davanti a porta Pinciana.

 

     Via Vittorio Veneto. La via venne realizzata a fine Ottocento sui terreni della villa Ludovisi la cui distruzione fu un grave danno al patrimonio artistico della città. Il vero nome della strada è via Vittorio Veneto, ma per tutti è solo via Veneto, anche perché – originariamente – era intitolata alla regione italiana come tutte le strada che la intersecano sono intitolate a regioni italiane.

     A metà circa del suo percorso si trova palazzo Margherita oggi sede dell’Ambasciata degli USA. Salendo da piazza Barberini sulla destra si trovano la chiesa di Santa Maria Immacolata, conosciuta come la chiesa dei Cappuccini, il ministero dello Sviluppo Economico, il palazzo della Bnl. Al culmine della strada si trova porta Pinciana, una delle porte delle mura Aureliane, lo slargo antistante è stato intitolato a Federico Fellini. La strada è celebre per i caffè e gli alberghi di lusso, tra i più famosi: Majestic, Balestra, Palace, Excelsior e Flora.

 

 

STAZIONE TERMINI

     La stazione centrale di Roma figura in cinque film di Fellini. Ne “Lo sceicco bianco” (1952) la stazione è la prima tappa del viaggio di nozze. Nel film “I vitelloni” (1953) Franco Interlenghi vagheggia di fuggire dalla provincia e giunge a Roma proprio alla stazione Termini. Nel film “Le notti di Cabiria” (1957) qui avviene l’appuntamento nel quale Cabiria viene abbindolata brutalmente. Ancora nel film “Roma” (1972) un alter ego del regista giunge a Roma proprio a Termini. Infine nel film “Ginger e Fred” (1986), l’anziana Masina  giunge nell’infernale ressa della stazione Termini quando arriva in città per esibirsi in televisione con Mastroianni.

     La stazione Termini è stato uno scenario che ha conquistato diversi registi, come Pietro Germi in Il cammino della speranza, Anton Giulio Majano con La domenica della buona gente e Vittorio De Sica con Stazione Termini e Peccato che sia una canaglia.

 

     “Lo sceicco bianco” è un film del 1952 del genere commedia, il soggetto e la sceneggiatura sono, oltre che di Federico Fellini di Tullio Pinelli, Ennio Flaiano (solo sceneggiatura) e Michelangelo Antonioni (solo soggetto). Musiche di Nino Rota. Interpreti e personaggi: Alberto Sordi è Fernando Rivoli, lo “Sceicco bianco”; Brunella Bovo è Wanda Cavalli; Leopoldo Trieste è Ivan Cavalli; Giulietta Masina è Cabiria.

 

     Due sposini vengono a Roma in viaggio di nozze. Lui Ivan conta di fare buona impressione sullo zio per fare carriera, lei Wanda spera di incontrare l’eroe del fotoromanzo lo “Sceicco bianco”, ovvero Alberto Sordi. Wanda si allontana di nascosto dall’albergo per fare la conoscenza dello Sceicco, lo incontra, lo segue sul luogo di produzione, accetta una gita in barca ma qui scopre che lui ha intenzioni di “rimorchiarla”, ma soprattutto di essere sposato. Tornati a riva, assiste a una scena di gelosia da parte della moglie.

     Ivan scopre che la moglie lo ha lasciato per andare a cercare lo Sceicco, ma nasconde tutto ai parenti per paura dello scandalo, si reca al commissariato per la denuncia di scomparsa, passa la notte girovagando e si intrattiene con due prostitute la romana Cabiria e la veneta Assunta che lo consolano.

     Wanda tenta il suicidio gettandosi nel Tevere, passa la notte in ospedale, qui è raggiunta dal marito. Tutte le spiegazioni sono rinviate, prima di tutto bisogna recarsi all’udienza papale. I due sembrano riconciliati nonostante tutto.

 

     Il cameo di Giulietta Masina nei panni della prostituta romana Cabiria sarà ispirazione per il film “Le notti di Cabiria” (1957).

 

     “I vitelloni” è un film del 1953 diretto da Federico Fellini incentrato sulle vicende di un gruppo di cinque giovani: l’intellettuale Leopoldo, il donnaiolo Fausto (Franco Fabrizi), il più giovane Moraldo (Franco Interlenghi), l’infantile Alberto (Alberto Sordi, vive con la madre e la sorella, l’unica che lavora) e l’inguaribile giocatore Riccardo (Riccardo Fellini, fratello del regita). Il soggetto e la sceneggiatura sono di Fellini, Flaiano e Tullio Pinelli. La voce di Fausto è doppiata da Nino Manfredi. Ormai alle soglie dell’età adulta non lavorano ne hanno l’intenzione di cercarlo. Le loro pigre e svogliate giornate passano tra divertimenti, pettegolezzi in un desolante clima di noia. Il loro tempo passa in progetti inutili, voglia di evasione e ore passate al caffè. Fellini vuole ricreare il mondo della sua Rimini di gioventù. Per queste caratteristiche il film è completamente diverso da “Amici miei” (1975) di Mario Monicelli con Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Philippe Noiret, Duilio del Prete e Adolfo Celi. Anche qui è la storia di cinque inseparabili amici, ma in questo vengono architettati vari e articolati scherzi.

     Il film inizia con la scena di una premiazione di un concorso di bellezza sulla spiaggia, vince il titolo di miss Sirena Sandra che dopo la premiazione sviene, un forte temporale interrompe la scena (tutte le scene al mare sono girate a Ostia, quel in paese a Viterbo). Presto si scopre che ad aver messo in cinta Sandra è stato Fausto (Franco Fabrizi). Il padre e il suocero lo costringono al matrimonio a cui partecipano gli altri quattro amici. Gli sposi partono in viaggio di nozze per Roma (la stazione è quella di porta Fiorentina a Viterbo). Passano le giornate vuote, inutili, sulla spiaggia, si vede il Kursal di Roma, qui Alberto si accorge che la sorella frequenta un uomo sposato. Segue la famosa scena degli amici al bar (siamo a Ostia in via Lucio Coilio, dove oggi è l’isola pedonale, si vede il palazzo del bar Sisto in costruzione), qui incontrano Fausto tornato dal viaggio di nozze con un giradischi portatile, ballano in strada un mambo. Il suocero di Fausto gli trova un lavoro, commesso di un negozio di articoli religiosi. Fausto e la moglie vanno al cinema insieme, anche qui Fausto tenta di rimorchiare una donna sola, la segue e la bacia in un portone. Viene il Carnevale, Alberto cerca in casa un costume per andare con gli amici ad una festa che si tiene in un teatro. Qui Fausto rimane colpito dalle spalle nude della moglie del titolare. Alla fine della festa Alberto resta solo e ubriaco, Moraldo lo riaccompagna a casa di peso. Giunto a casa Alberto scopre che la sorella va via di casa con l’uomo sposato. Successivamente, nel negozio, Fausto ci prova anche con Giulia, la moglie del titolare. Il padrone lo licenzia, lui per vendetta gli ruba la statua di un angelo – con la complicità di Moraldo – statua che non riuscirà a rivendere. Quando si scopre del furto, il suocero di Fausto vuole cacciarli di casa, ma Fausto racconta la sua versione dei fatti (è stata la moglie del titolare del negozio a provarci e lui l’ha respinta) nasce il bambino e la situazione si tranquillizza. Leopoldo riesce a far leggere il suo romanzo ad un attore famoso, la lettura del testo avviene in una trattoria, anche gli amici sono felici di questa opportunità, ma durante la lettura, si interessano alle ballerine e lo lasciano solo con l’attore. I due escono dal ristorante, vanno sulla spiaggia di notte, ma a questo punto Leopoldo fugge spaventato dal comportamento ambiguo dell’attore. Fausto passa la notte con una ballerina, quando torna a casa c’è la scena di gelosia della moglie. La mattina successiva la moglie, Sandra, è scomparsa. Fausto e gli amici la cercano tutto il giorno, qui c’è la famosa scena dell’ombrello di Alberto Sordi. Alla fine la scoprono in casa del suocero. Qui il papà di Fausto lo prende a cinghiate. Marito e moglie si riappacificano. Fausto sembra cambiato e che voglia prendersi le sue responsabilità. Moraldo è l’unico che decide di partire, la mattina, senza dire nulla, parte dalla stazione.

          

   “Roma” è un film del 1972, presentato fuori concorso al Festival di Cannes. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Fellini stesso e Bernardino Zapponi. Personaggi e interpreti: Peter Gonzales: Federico Fellini diciottenne; Fiona Flores: Dolores; Pia De Doses: Principessa Domitilla. La colonna sonora è di Nino Rota.

     Il film è un ritratto brioso e visionario di Roma attraverso i ricordi di un giovane provinciale che arriva alla stazione Termini poco prima della seconda guerra mondiale. Roma è una realtà composita, contraddittoria, presentata attraverso una serie di personaggi e situazioni come il défilé di abiti ecclesiastici, l’interno delle case chiuse, l’ingorgo notturno sul GRA, i lavori della metropolitana che distruggono resti archeologici; lo stile passa dalla nostalgia alla volgarità. Tra le diverse parti non c’è alcun legame, si va da un soggetto all’altro come in uno spettacolo di cabaret. La pellicola vede presenti nel ruolo di loro stessi: Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi e lo scrittore Gore Vidal. Per la Magnani questa sarà la sua ultima apparizione in un film (morirà nel settembre 1973). Gli interventi di Mastroianni e Sordi saranno poi eliminati in alcune copie del film. In questo film è riprodotto lo stabile di via Alba Longa nel teatro 5 di Cinecittà

 

   Stazione Termini. La stazione Termini fu costruita quando si decise di unificare in un'unica stazione tutte le linee ferroviarie che giungevano a Roma. Inaugurata nel 1862 era solo un baraccone, dal 1867 iniziarono i lavori per la stazione progettata dall'ingegner Salvatore Bianchi, la sua inaugurazione avvenne il 20 aprile 1873. L'edificio aveva due parti distinte destinate agli arrivi e alle partenze unite da una tettoia metallica centrale simile a quella della Gare de l'Est a Parigi costruita pochi anni prima. Sotto la tettoia c'erano sei binari di testa di cui due senza marciapiede. Lo scalo merci, il deposito locomotive e l'officina vennero in un secondo momento spostati. Nel 1887 veniva innalzato davanti alla stazione il monumento ai Caduti di Dogali, da allora la piazza della stazione si chiamerà piazza dei Cinquecento (poichè tanti erano i soldati italiani morti in una delle prime avventure coloniali italiane). Il monumento reca l'ultimo dei tredici obelischi innalzati a Roma, si tratta di un obelisco egizio alto m 6,34 proveniente da Eliopoli, ornò il tempio di Iside. Nel 1925 il monumento fu spostato in via delle Terme di Diocleziano, in un'area tenuta a giardino, per ragioni di traffico veicolare. Nel 1935 la rete elettrica di alimentazione arriva a Termini consentendo l'arrivo dei treni a trazione elettrica provenienti da Firenze e dal Nord. Nel 1938 iniziarono i lavori di smantellamento della vecchia stazione Termini e in vista dell'Esposizione Universale che si doveva tenere nel 1942 - la costruzione della nuova progettata da  Angiolo Mazzoni[8]. I lavori rimasero interrotti per lo scoppio della guerra mondiale, gli anziani ricordano ancora i blocchi di marmo accumulati lungo via Marsala in attesa della ripresa dei lavori. Nel dopoguerra fu bandito un nuovo concorso per realizzare la parte mancante, tale concorso fu vinto ex aequo dagli  architetti Calini e Montuori, e dal gruppo di Vitellozzi, Castellazzi e Fadigati (con gli ingegneri Leo Calini e Achille Pintonello).

     Mentre la fronte della vecchia stazione era in linea con via D'Azeglio, la nuova fu arretrata ben oltre via Cavour per dare spazio alla piazza, al traffico veicolare e ai capolinea dei bus. La fronte della stazione con la pensilina d'ingresso è considerata una delle opere più significative del Razionalismo italiano. Da segnalare il fregio sulla punta più sporgente della pensilina opera dell'artista ungherese (Imre) Amerigo Tot[9] (1954). La stazione venne inaugurata il 20 dicembre 1950.

 

 

TERME DI CARACALLA

     Qui la protagonista de “Le notti di Cabiria” svolge la sua attività di prostituta. Qui la protagonista – tutta contrita – vede passare la processione notturna diretta al Santuario del Divino Amore.

 

     “Le notti di Cabiria” è un film del 1957 del genere drammatico per la regia di Federico Fellini, il soggetto di Fellini, Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, la sceneggiatura è degli stessi più Pasolini. Interpreti e personaggi: Giulietta Masina: Cabiria; Francois Perier: Oscar D’Onofrio, Amedeo Nazzari: Alberto Lazzari, il divo del cinema; Aldo Silvani: l’ipnotizzatore; Franca Marzi: Wanda, amica di Cabiria; Dorian Gray: Jessy, fidanzata di Lazzari.

 

     Cabiria (interpretata dall’attrice Giulietta Masina) è una giovane donna arrivata a fare la prostituta per la necessità di sopravvivere alla misera, ma non ha nulla delle prostitute come la sua amica Wanda, classica “battona” romana. La sua immagine è una caricatura, quasi una maschera della commedia dell’arte. Ha conservato tutta l’ingenuità e la spontaneità della giovane donna che spera sempre di trovare un uomo che si interessi a lei, quando rimane delusa risponde con una alzata di spalle, una cantata e un balletto. Così incontra il divo del cinema Alberto Lazzari (Amedeo Nazzari) che spinto dalla rabbia e per fare un dispetto alla sua amante la porta nella sua villa faraonica dalla quale sarà allontanata non appena la fidanzata ufficiale (Dorian Gray) torna a casa. L’ingenuità di Cabiria si rivela appieno quando sale sul palco di un cinema teatro di periferia per una scena di un mago che ipnotizza.

     All’uscita dal teatro è affiancata da un uomo umile ma serio che le propone di sposarlo. Lei vuole credergli ad ogni costo, vende la sua casupola per raggranellare dei soldi, ma l’uomo vuole solo il suo denaro per poi ucciderla. A questo punto tenta il suicidio, ma passa di lì una comitiva di giovani che cantano e suonano in allegria, lei allora si lascia coinvolgere, è la forza della vita a cui lei ingenuamente vuole credere. Per Fellini l’esistenza umana è come il circo.

 

     Terme di Caracalla. Il ciclopico complesso delle Terme, dette anche Antoniniane, forma uno dei più impressionanti e pittoreschi scenari della Roma antica. Furono iniziate da Settimio Severo nel 206 e inaugurate dal figlio Antonino Caracalla[10] nel 217. L'opera venne completata dai successori Elagabalo e Alessandro Severo.  Ancora Aureliano le restaurò, erano le più ricche di ornamenti di Roma. Funzionavano ancora nel VI secolo quando furono danneggiate dai goti e rese inutilizzabili per la distruzione degli impianti idrici che erano di una straordinaria perfezione (le cisterne erano capaci di contenere 80.000 litri d'acqua)[11]. La planimetria segue il tipo stabilito fin dal II secolo, un grande corpo di fabbrica centrale, circondato da giardini, entro un vastissimo recinto rettangolare con esedre, sale e altri ambienti accessori. Occupavano uno spazio quadrato di m 330 per lato, l'edificio centrale misurava m 220 X 114.

     L'ingresso era dalla via Nova, parallela all'Appia. Si entrava nel frigidarium, immenso salone rettangolare occupato quasi per interno dalla piscina. Al di là del frigidarium, e parallelo ad esso, si apriva il tepidarium, altro immenso salone collegato alle estremità attraverso esedre alle grandiose palestre. A metà del lato lungo del tepidarium si passava attraverso un altro tepidarium o cella media, assai più piccolo, nel calidarium salone circolare con cupola di m 35 di diametro, in gran parte diruito e interrato. Ai lati e intorno alle palestre numerose sale, rettangolari o absidate, per la ginnastica o per i servizi. Di fronte al calidario, oltre la vasta spianata si trovano le rovine dello stadio fiancheggiato da biblioteche.

     Si ritiene che lo stabilimento contenesse bagni singoli e vasche in comune per un complesso di 1.600 bagnanti alla volta. Oltre ad essere tutte rivestite di marmi e di metalli, animate da getti d'acqua, avevano una decorazione scultorea delle più sfarzose, difatti i più celebri marmi della collezione Farnese oggi al museo nazionale archeologico di Napoli, provengono da qui: l'Ercole Farnese, il toro Farnese, la Flora ed altri pezzi, come pure i mosaici con atleti oggi ai Vaticani, le due vasche di granito che ornano le fontane di piazza Farnese e la colonna portata da Cosimo dei Medici in piazza santa Trinita a Firenze.

 

 

VIA ALBA LONGA

     Una targa al civico 13 ricorda la prima abitazione romana di Fellini, nel 1939; nell’androne foto del film “Roma” (1972) ambientato in questa strada, anche se ricostruito in studio. La targa è stata posta il 16.3.19. “La notte si trasformava in un enorme ristorante all’aperto con il tram che passava scampanellando”. Era il tram 9 che da via Mondovì raggiungeva la stazione Tiburtina.

     Cambia alloggio più volte, dorme in pensioni, affitta camere, presso amici. Abita in via Giovanni Nicotera 26 (piazza Mazzini). Con le nozze va ad abitare in via Lutezia 11 (Parioli, viale Liegi) dove abita la zia di Giulietta Masina. Quindi in via Archimede 141 / a, sempre Parioli (piazza Euclide). Per un certo periodo hanno abitato a Fregene (pure l’inverno), quindi all’Eur al Residence Garden Hotel (alle spalle del Palazzo dei Congressi) per la vicinanza con Dinocittà, al Km 23 della via Pontina.

     Per molti anni e fino alla morte, abitarono in via Margutta 110 (250 mq con due saloni e terrazzo) dove un’altra lapide ricorda lui e Giulietta Masina.

     La rivista Marc’Aurelio, presso cui iniziò a lavorare come vignettista, si trovava in via Rasella. In via Sannio 37 abitava Aldo Fabrizi, a volte lo invitava a pranzo la domenica, fu Fellini a convincerlo a recitare in Roma città aperta (don Pietro) di Rossellini. Fellini fece da padrino al figlio dell’attore Massimo. Nel 1942, negli studi Eiar di via delle Botteghe Oscure, conobbe Giulietta Masina, fu amore a prima vista. Si sposarono in via Lutezia 11 in casa della zia, li sposò monsignor Luigi Cornagia de Medici, prelato di Santa Maria Maggiore, che aveva la dispensa per sposare in casa. Nella pasticceria Ruschena di lungotevere dei Mellini (Prati) conosce Anna Paciocca, presunta amante di Fellini che abitava in via Lima (Parioli), gli si attribuisce una figlia, Patrizia, ma nata cinque anni prima dell’incontro tra i due.

     Tra i ristoranti preferiti c’era l’osteria dei Fratelli Menghi in via Flaminia 57, oggi chiusa, Cesarina in via Piemonte 109 (ristorante con specialità romagnole in ambiente rustico)  e al ’59 via Angelo Brunetti 59(zona piazza del Popolo), oggi chiuso. Frequentava anche il ristorante la Campana nel vicolo omonimo che vanta di essere il più antico ristorante del mondo frequentato da Goethe, Calvino, i reali di Spagna e Belgio. Fuori Roma andava da Mastino (compare nel film Lo sceicco bianco) a Fregene e Fico Vecchio a Grottaferrata. Il caffè preferito, neanche a dirlo era Rosati in piazza del Popolo dove si potevano incontrare Cardarelli, Pasolini, Moravia, Calvino, De Chirico, Guttuso e altri, ma anche Canova in piazza del Popolo, dove incontrava gli amici.

     Ma Cinecittà resta la sua meta preferita, il Teatro 5 che ancora conserva i suoi costumi, il luogo che lui chiamava “casa” (come Bertolucci). Il regista realizzò qui praticamente tuti i suoi film. Nel 2013 il teatro gli è stato intitolato con una cerimonia che ha avuto come madrina Claudia Cardinale. Nella lapide è riportata una frase di Fellini che è un atto d’amore verso Cinecittà: “Quando mi domandano quale è la città in cui preferirebbe abitare? Londra, Parigi, Roma… io rispondo Cinecittà. Il teatro 5 di Cinecittà è il posto ideale”. Qui è stata allestita la sua camera ardente.

     Fellini racconta l’emozione del primo approccio a Cinecittà: “Ricordo ancora la prima volta che sono arrivato, in tram, un piccolo tram che partiva dalla stazione Termini, si lasciava alle spalle la città e attraversava chilometri e chilometri di campagna in mezzo alle rovine di un acquedotto romano. Alla fine appariva una costruzione che somigliava a un ospedale o città universitaria, invece aveva quel nome magico, Cinecittà”.

 

 

 

 

TRINITA’ DEI MONTI

     Gli sposini del film “Lo sceicco bianco”, Oscar (Leopoldo Trieste) e Wanda (Brunella Bovio) ammirano la scalinata da una pensione in via Sistina nella finzione scenica, ma in via della Vite nella realtà.

 

VIA XXIV MAGGIO

     Qui è lo studio in cui Wanda, nel film “Lo sceicco bianco” va a tentare di conoscere l’eroe dei suoi sogni, cioè Alberto Sordi nel ruolo di un divo di fotoromanzi.

 

PIAZZA SAN PIETRO

     Qui il finale del film “Lo sceicco bianco” , qui inizia “La dolce vita” con un elicottero, guidato da Marcello Mastroianni, che vola sulla piazza portando una statua di Gesù. Sempre nel film Marcello sale sulla cupola di Michelangelo con la Ekberg.

 

CASTEL SANT’ANGELO

     Il castello, fortezza di Roma, compare sia in “Lo sceicco bianco” dove la protagonista va sotto il ponte per gettarsi nel Tevere; sia nel film “Roma” dove dal Castello parte una banda di motociclisti in corsa fino al Colosseo.

 

PIAZZA CAMPITELLI

Nel film “Lo sceicco bianco” qui Ivan viene abbordato da due prostitute, una di queste è Cabiria, l’attrice Giulietta Masina, questo episodio darà poi spunto al film “Le notti di Cabiria”.

 

VIA DELLA CROCE

Negli anni Sessanta Fellini ha il suo studio in via della Croce nel cosiddetto palazzo dei Telamoni. Qui ha sede la Federiz, società di Fellini e Rizzoli.

 

PIAZZA SAN GIOVANNI

     Compare due volte nel film “Roma”, quando il giovane, sbarcato nella capitale, prende il tram, di nuovo compare la piazza per il passaggio di un pastore con il gregge di pecore.

 

PIAZZA DE’ RENZI

     A Trastevere, tra piazza Trilussa e piazza Santa Maria in Trastevere, compare nel film “Roma”, per un incontro di pugilato, ma la piazza è ricostruita in studio.

 

PIAZZA SANTA MARIA IN TRASTEVERE

     E’ grande protagonista in “Roma”.

 

CORSO ITALIA

     Avrà il suo studio in corso Italia 35 d angolo via Po, dopo essere stato in via della Croce. Qui era ospite di Carlo Poggioli, presidente dell’associazione italiana scenografi, costumisti e arredatori.

 

PARCO DEGLI ACQUEDOTTI

     Il film “La dolce vita” si apre con un elicottero che sorvola il parco degli acquedotti trasportando una statua di Cristo, Mastroianni lo segue a bordo di un altro.

 

PIAZZA DON BOSCO

     La piazza e la chiesa figurano nel film “La dolce vita”, piace a Fellini perché è tutto nuovo, non ha storia, qui Mastroianni incontra l’amico Enrico Steiner, con lui entra in chiesa, ma l’interno è la chiesa dei Santi Martiri Canadesi nella zona di piazza Bologna. Steiner suono l’organo.

 

CECILIA METELLA

Compare nel film “Lo sceicco Bianco”.

 

GRANDE RACCORDO ANULARE

     Compare nel film “Roma”, proprio in apertura, per rappresentare una metropoli chiassosa e cialtrona.

 

EUR

     Le scenografie metafisiche dell’Eur non potevano che colpire il grande regista, come il Foro Italico. Nel film “Boccaccio 70”, c’è un uomo – Peppino de Filippo - ossessionato dalla pubblicità del latte con la raffigurazione di una donna dai seni enormi, Anita Ekberg. La scena surreale si svolge nelle scenografie dell’Eur, sullo sfondo il Colosseo Quadrato.

 

POLICLINICO UMBERTO  I

     Fellini si spenge al Policlinico il 31 ottobre 1993 dove era stato ricoverato il giorno 17 per un ictus.

 

CHIESA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Qui si tennero i funerali di Fellini alla presenza delle massime cariche dello Stato di attori e registi come Villaggio, Gassman, Suso Cecchi D’Amico, Monica Vitti, Zeffirelli, Zavoli, Bernabei, Sandra Milo, il sarto Valentino. La cerimonia funebre è stata celebrata dal cardinale Achille Silvestrini.

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Mymovies.it/biografia

 

 

 

 

Piero Tucci

15.3.20

Aggiornato il 10.10.20

 

 

 

 



[1] La collaborazione con Nino Rota. In occasione della scelta delle musiche per lo Sceicco bianco, nasce tra Fellini e il compositore Nino Rota un rapporto di collaborazione che coinvolgerà vita e arte di entrambi. Un aneddoto sull’incontro tra i due alla fermata del bus Atac che non esiste.

[2] Il Bidone. L’idea di questo film viene dall’incontro con una persona che vive truffando  in una trattoria di Ovindoli.

[3] Niccolò V, Tommaso Parentucelli (Sarzana 1397 – Roma 1455) papa dal 1447. Nello stemma due chiavi incrociate. Insigne umanista dovette subire la caduta di Costantinopoli nel 1453.

[4] Urbano VIII, Maffeo Barberini (Firenze 1568 – Roma 1644). Nello stemma tre api in campo blu. Inaugurò il baldacchino berniniano di San Pietro, fece costruire palazzo Barberini, la fontana del Tritone, il palazzo della Propaganda Fide utilizzando il Pantheon e il Colosseo come cave.

[5] Clemente XII, Lorenzo Corsini 1652 – 1740) papa dal 1730. Stemma a strisce diagonali con banda orizzontale. Per risanare le finanze ripristinò il gioco del lotto. Fece costruire la facciata di San Giovanni in Laterano, il palazzo della Consulta sul Quirinale, pavimentò strade, acquistò la collezione Albani per il museo Capitolino, condannò la Massoneria. La sua tomba è in San Giovanni in Laterano.

[6] Nicolò Salvi, (Roma 1697 – 1751) architetto italiano allievo di Antonio Canevari. Arrivò tardi a questo lavoro dopo gli studi di matematica e filosofia. Anche a causa delle sue malferme condizioni di salute eseguì solo quest’opera, la chiesa di Santa Maria in Gradi a Viterbo e una cappella a San Giovanni Battista con il Vanvitelli, allestita a Sant’Antonio dei Portoghesi, benedetta dal papa e inviata in Portogallo via mare.

[7] Filippo Valle (Firenze 1698 – Roma 1768) scultore, lavorò alla cappella Corsini in Laterano, al palazzo della Consulta sul Quirinale e ha Sant’Ignazio.

[8] Angiolo Mazzoni (Bologna 1894 - Roma 1979) Ingegnere e architetto, uno dei maggiori progettisti italiani tra le due guerre mondiali, realizzò molte stazioni e uffici postali. Sue le stazioni di Latina, Bolzano, Reggio Emilia, Trento, Siena, Reggio Calabria Centrale, Montecatini, Messina, Roma Tiburtina recentemente demolita e altri. Suoi gli edifici postali di Grosseto, Palermo, Latina, Sabaudia (avveniristico), Pola e altri. Palazzo delle Poste a Ostia nel 1934, Progetto originario della nuova stazione Termini, realizzato solo nelle fiancate.

[9] Amerigo Tot (1909- Roma 1984) scultore, attore e pittore ungherese. Dopo gli studi in Ungheria con Laszlo Moholy Nagy si trasferì a, nel 1933, Roma dove visse tutto il resto della sua vita. Combattè nella restistenza italiana. Realizzò il fregio per la stazione Termini. A Budapest vi è un museo a lui dedicato. Ha fatto la comparsa in alcuni film, è conosciuto per il ruolo di guardia del corpo e boia di Michael Corleone ne Il padrino - parte II.

[10] Caracalla imperatore dal 211 al 217 era nativo di Lugdunum (Lione) in Gallia, figlio di Settimio Severo. Il suo nome resta legato alle terme e all'estensione della cittadinanza romana a tutti i cittadini dell'impero avvenuta nel 212. Questo provvedimento, che prese il nome di Costitutio Antoniniana, fu fattore di stabilità per lo Stato. Lasciò pessima fama di se ma fu amato dai soldati.

[11] Dopo i Goti le Terme furono abbandonate, l'area fu occupata da un sepolcreto con le tombe a fossa, venne utilizzato come xenodochio ovvero ospizio pellegrini e forestieri gestito dalla chiesa dei Santi Nereo e Achilleo. Da allora divenne una cava inesauribile di materiale.