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VIA NOMENTANA

ANTICA STRADA CONSOLARE

TRA CITTA’ GIARDINO, VILLE E AMBASCIATE

 

VIA NOMENTANA

     La via Nomentana è così chiamata perché conduceva a Nomentum, cioè Mentana. Anticamente era detta via Ficulense perché diretta a Ficulea, resta l’incognita di dove era questa località (forse dove sono le catacombe di Sant’Alessandro, circa un Km dopo il GRA). In antico la strada usciva dalla porta Collina delle mura Serviane che si trovava tra le attuali via XX Settembre e via Goito (porta distrutta stoltamente per la costruzione del ministero delle Finanze). La porta Nomentana delle mura Aureliane era più a destra dell’attuale porta Pia, dove oggi è l’ambasciata britannica, ma oggi è chiusa.

     Tutto l’itinerario si sviluppa nel II Municipio (da porta Pia al vallo ferroviario) e nel III Municipio. Il 24.7.19 la sindaca Raggi ha inaugurato la pista ciclabile lungo il lato destro della strada che da porta Pia raggiunge la pc Aniene presso ponte Tito Tazio, quindi a Montesacro. E’ lunga Km 4, è costata 1,8 milioni di euro.

 

 

PONTE NOMENTANO

     Con esso la via Nomentana scavalca il fiume Aniene. E’ una costruzione di epoca romana di cui si conserva l’arcata centrale del I secolo, la parte superiore sopraelevata e fortificata nel medioevo appartiene al restauro di Narsete del 552 poiché precedentemente il re dei Goti Totila lo aveva distrutto. Secondo la tradizione qui avvenne l’incontro tra Carlo Magno e Leone III nell’anno 800. Nicolò V (1447-1455) lo restaurò e pose il suo stemma con le due chiavi incrociate e la scritta NPAPAV che il popolo interpretò “nissun papa volemo”. Nel 1849, durante i combattimenti della repubblica Romana venne fatto saltare. Al di là del ponte una pineta si estende tra via Nomentana e via Nomentana Nuova.

     Secondo una leggenda la notte il ponte è frequentato dal fantasma di Nerone che è morto suicida nella villa di Faonte che è stata individuata alle Vigne Nuove.

     Nel medioevo si è chiamato ponte Lamentano o Lamentato, anche ponte del Casal de Pazzi per la famiglia fiorentina che poco oltre aveva un castello con la tenuta. Il ponte è stato pedonalizzato negli anni Ottanta, il traffico era regolato da un semaforo a mano, recentemente restaurato ed inaugurato il 28 ottobre 2000.

     Sul ponte è ambientato l’addio tra Andrea Sperelli e Elena Muti all’inizio del romanzo “Il piacere” di Gabriele D’Annunzio del 1889. Stendhal lo ha visitato il 18 aprile 1828 e in “Viaggio in Italia” parla della bellezza del posto e dell’ottimo caffè italiano.

Il ponte è stato ritratto da pittori, artisti, fotografi per il suo caratteristico e tetro aspetto e per la maestosità dell’arcata maggiore sulla quale si alza il complesso turrito e merlato di epoca medioevale. Il giorno di ferragosto del 1805 Simon Bolivar visitò questo luogo e giurò di liberare l’America Latina dal dominio coloniale spagnolo.

 

 

LA CITTA’ GIARDINO ANIENE

     Il quartiere sorse nel 1920 su pianificazione dell’arch. Gustavo Giovannoni[1] (con Quadrio Pirani e Edmondo del Bufalo) che teneva presente l’esperienza delle city garden inglesi, si chiamò infatti Città Giardino Aniene fino al 1951. L’attività costruttiva fu affidata al “Consorzio Città – Giardino Aniene” costituito dall’Istituto Case Popolari e dall’Unione Edilizia Nazionale. Nelle intenzioni voleva essere la più grande città giardino d’Europa. Intorno al nucleo centrale formato da piazza Sempione con gli edifici disegnati da E. Energici, con gli uffici pubblici, la chiesa, il parco, l’ufficio postale, il cinema – teatro, i negozi, furono progettati e realizzati villini bi- tri familiari di due piani con un piccolo giardino o orto intorno, in questi prevalse il tono rustico – medioevale[2], il tracciato stradale  fu realizzato in funzione della configurazione altimetrica del terreno con l’uso di scalinate. Il piano si estendeva su una superficie di 150 ha, doveva comprendere 500 villini per 3.000 alloggi, lungo via Tirreno a ridosso dell’Aniene era previsto un Quartiere degli Sport rimasto sulla carta (canottaggio, calcio, tennis, palestra e stabilimento per bagni pubblici), vicino a ponte Nomentano fu previsto un parco solo in parte realizzato[3]. Negli anni Sessanta il 70% dei villini vennero demoliti e sostituiti da palazzi di quattro/cinque piani. Dal 2005 è stato riattivato un filobus che collega il quartiere con la stazione Termini, il 90.

 

     Il fiume Aniene nasce dai monti Simbruini, presso Filettino nella zona oggi parco naturale, passa in prossimità di Trevi, Ienne, Subiaco, forma le cascate di Tivoli e dopo 99 Km di percorso confluisce nel Tevere presso monte Antenne. Fin dai tempi dell’antica Roma ha fornito acqua alla città con gli acquedotti Aniene vecchio, Nuovo, Claudio e Acqua Marcia. Vedi introduzione storica per arrivo obelischi Torlonia. Negli anni intorno all’ultima guerra, l’Aniene era luogo di scampagnate e di villeggiatura per gli abitanti della zona, sotto via Picco Tre Signori c’era una spiaggetta ribattezzata Belo Horizonte, i grandi insegnavano a nuotare i più piccoli, qualcuno c’è morto; anche la pineta di Casal de Pazzi – più grande di oggi – era meta di scampagnate[4]. Una alluvione nel 1923 isolò il quartiere.

 

     La Chiesa dei Santi Angeli Custodi è stata progettata da Giovannoni e costruita tra il 1922 e il 1924. Il Palazzo Pubblico è di Innocenzo Sabbatini (presidente ICP, Garbatella, via Doria), anni 1921-23. Acqua Sacra, ricavata da un pozzo scavato nel 1911, esce a 16°, ha funzione diuretica.

 

 

CHIESA DI SANT’AGNESE FUORI LE MURA

     Meglio, basilica di Sant’Agnese fuori le Mura, fatta costruire nel IV secolo sulla tomba della santa.

     L’entrata della chiesa su via Nomentana è preceduta (n.349) dalla canonica con protiro di Andrea Busiri Vici. La chiesa è uno degli esempi più  integri e insigni di basilica cristiana di influenza bizantina (matronei e mosaico absidale). Riedificata da Onorio I (625-638) e più volte restaurata, rivolge verso la via l’abside, affiancata dal campanile quattrocentesco a due piani di bifore rinascimentali.

     Prima il cortile del convento, poi un piazzaletto, quindi una lunga scalinata marmorea del 1590 scende alla chiesa. L’interno preceduto da nartece è a tre navate con colonne antiche dai bellissimi capitelli corinzi, sopra le navate laterali corrono i matronei, pure con belle colonne del VII secolo, il soffitto a cassettone di legno intagliato e dorato risale al 1606. Nel semicatino absidale mosaico (al centro su fondo oro figura stilizzata di santa Agnese con ai piedi le fiamme e la spada del martirio e sulla veste la fenice simbolo dell’immortalità) del tempo di Onorio I, uno dei più alti esempi di arte bizantina a Roma; ai lati i papi Simmaco e Onorio, quest’ultimo col modello della chiesa. Sotto il ciborio (1614), con quattro colonne di porfido l’altare copre i resti delle sante Agnese e Emerenziana. Sull’altare  statua della santa di Nicolas Cordier 1605 che aggiunse a un torso di scultura antica di alabastro orientale agatizzato, la testa, le mani, e la veste di bronzo dorato; a sinistra candelabro marmoreo romano; in fondo all’abside cattedra. Nella seconda cappella a destra dittico marmoreo per altare con i santi Stefano e Lorenzo della bottega di Andrea Bregno.

     Da una porta a sinistra del nartece si scende nelle catacombe di Sant’Agnese molto antiche e ben conservate.

 

 

CATACOMBE DI SANT’AGNESE

Via Nomentana 349 (sotto la basilica stessa)

     Il martirio della santa avvenne perché rifiutò di sposare il figlio del prefetto. Dopo essere stata esposta in un luogo infame, gettata su una catasta ardente senza essere toccata dalle fiamme, la martire fu uccisa con un colpo di spada e il corpo venne deposto in questo luogo dai parenti dove avevano un terreno di loro proprietà. Il luogo del supplizio fu nell’attuale piazza Navona.

     L’area cimiteriale è anteriore alla deposizione della santa. Nel IV secolo venne costruita sopra la tomba della santa una basilica con il tetto sporgente dal terreno che poi venne restaurata e ampliata più volte.

     Il cimitero si articola su tre piani in quattro regioni: l’area primitiva, a sinistra della basilica, è anteriore al III secolo, vi sono due gruppi di gallerie che risalgono al quarto secolo, uno di questi mette in comunicazione Sant’Agnese con Santa Costanza. Il complesso è privo di pitture.

 

 

MAUSOLEO DI SANTA COSTANZA

     Nello stesso isolato si trovano i resti di una struttura absidale di una grande basilica e il mausoleo di santa Costanza, eretto agli inizi del IV secolo per Costanza ed Elena figlie di Costantino e trasformato dapprima in battistero e nel 1254 in chiesa.

     Singolare e magnifico esempio di struttura a pianta centrale è preceduto dai resti del nartece absidato ai lati e con due nicchie rettangolari fiancheggianti l’ingresso.

     L’interno è impressionante per lo stupendo ritmo strutturale ancora legato ai modi dell’architettura romana e per l’effetto della luce proveniente ai dodici finestroni centinati che si aprono sotto la cupola di 22,50 m di diametro. La cupola è sorretta da 12 coppie di colonne di granito poste radialmente, con capitelli compositi ed è ornata di affreschi guasti del 1620.

     L’ambulacro che gira all’intorno è coperto da una volta a botte rivestita da magnifici mosaici tra i più antichi (sec. IV) murali giunti fino a noi, che conservano i caratteri dell’arte musiva romana (fondo bianco, alcuni geometrici, altri ornamentali, tra cui vendemmiali). A sinistra e a destra dell’ingresso Costanza e suo marito Annibaliano. Nella nicchia opposta all’ingresso decorata con un cielo stellato, calco del sarcofago di Costantina (l’originale è ai musei Vaticani). Da Guida di Roma del Tci, 1993.

     Per Marco Lodoli (27 aprile 2003) a Santa Costanza c’è lo specchio dell’esistenza, “in un punto del soffitto del deambulatorio vicino al sarcofago di Costanza, il mosaico finge i residui di un pranzo caduti a terra. E’ un’ idea grande e antica, il disordine che diventa opera d’arte, qualcosa che anticipa il jazz e l’action panting, le colature di Pollock… viene da aguzzare gli occhi cercando le chiavi di casa… o qualcos’altro perso nella vita e bisogna amarlo prima che passi la Grande Scopa”.

     Ilaria Beltramme in 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita, ed. Newton, 2007, invita a farsi girare la testa per vedere i mosaici di santa Costanza.

 

 

VILLA TORLONIA

     La villa fu voluta dal banchiere Giovanni Torlonia (1756-1829) che acquistò nel 1797 una tenuta agricola dai Colonna. Il complesso neoclassico fu iniziato da Giuseppe Valadier[5] nel 1802. Alla morte di Giovanni il figlio Alessandro (1800 -1880, questi, tra l’altro, realizzò il prosciugamento del lago del Fucino in Abruzzo) continuò i lavori dandone incarico a Giovanni Battista Caretti[6] dal 1832. Alessandro volle i due obelischi che si trovano davanti e dietro il Casino Nobile, in onore dei genitori. Ad Alessandro subentrò il nipote Giovanni (Alessandro ebbe due figlie, una andò in sposa ad un Borghese che prese anche il nome Torlonia per continuare la casata) che fece trasformare la capanna svizzera in Casina delle Civette. Negli anni del fascismo la villa fu residenza di Mussolini dal 1925 al 1943 che pagava un affitto simbolico di una lire l’anno (nel 1939 Giovanni morì senza figli). Con la liberazione di Roma il 4 giugno 1944 la villa fu occupata dall’esercito anglo-americano fino al 1947, tale occupazione danneggiò gravemente le sue strutture. Dopo un lungo periodo di abbandono, nel 1977 fu acquisita dal comune e l’anno successivo fu adibita a parco pubblico per espressa volontà dell’allora sindaco Giulio Carlo Argan[7]. Dagli anni Novanta, per un preciso impegno dei sindaci Rutelli e Veltroni è stata oggetto di un’attenta opera di restauro e valorizzazione; per prima è stata restaurata la casina delle Civette (1997), poi il casino dei Principi (2002), a seguire gli altri. Il 22/23 marzo 2008 a causa di una tromba d’aria oltre cinquanta alberi della villa sono stati sradicati o danneggiati, ciò ha richiesto il loro abbattimento[8]. In seguito a ciò la villa è stata chiusa per qualche tempo. Il teatro è stato riaperto al pubblico nel dicembre 2013, è imminente la riapertura della serra moresca con la sua torre.

   Oggi il parco di Villa Torlonia occupa una superficie di oltre 13 ha.

 

     Si entra nel parco attraverso i propilei ionici del 1910 avendo di fronte uno degli obelischi di granito rosa fatti scolpire a Baveno (sul lago Maggiore in Piemonte) e trasportati via acqua (Ticino – Po – mare) nel 1842, sono alti 18 metri e pesano 22 tonnellate. Questo obelisco è dedicato al padre Giovanni, l’altro – che si trova dopo il casino Nobile – è dedicato alla madre.

     Il Casino Nobile è dovuto ad un primo intervento fu compiuto da Giuseppe Valadier che tra il 1802 e il 1806 realizzò una nuova costruzione che inglobava una preesistente, la ampliava, aggiungeva gli avancorpi, i porticati e le terrazze. Il luogo più fastoso era la "Salle a manger", oggi Sala da Ballo, illuminata da un'unica grande finestra semicircolare, all'interno gli specchi riflettevano la luce e davano maggiore profondità all'ambiente. In questa sala si trovavano dieci bassorilievi in gesso di Antonio Canova, alcuni di essi sono stati ritrovati e oggi si trovano nella stanza a Berceau.

     Dopo il 1832 Alessandro Torlonia diede incarico a Giovanni Battista Caretti[9] di provvedere all’ampliamento del palazzo e ad un nuovo programma decorativo. Per renderlo ben visibile a chi giungeva da fuori città, il fronte principale venne ribaltato verso la via Nomentana. Il palazzo si presenta con una grande scalinata d’accesso su cui erano statue antiche, un avancorpo con colonne ioniche e timpano decorato con “Il ritorno di Bacco dalle Indie su carro trainato da tigri” di Rinaldo Rinaldi[10]. Le ali porticate del Valadier furono sostituite da due portici con colonne doriche. Ma è nella decorazione interna che il Caretti lasciò la sua impronta, ogni stanza ebbe uno stile e motivi ornamentali diversi.

   Il piano terra e il primo piano ospitano gli ambienti di rappresentanza, il piano seminterrato e il secondo piano i servizi e gli alloggi per la servitù. Una galleria collega ancora oggi il Casino Nobile con il Casino dei Principi. Negli anni immediatamente precedenti la II Guerra Mondiale venne costruito un rifugio antiaereo e uno antigas. Durante i recenti lavori di restauro è stata scoperta una finta "tomba etrusca", un ambiente sotterraneo affrescato come fosse una tomba etrusca, probabile opera di Caretti, una stranezza voluta da Alessandro Torlonia. Questi ambienti sotterranei sono aperti al pubblico in alcune occasioni.

     L’edificio più stravagante della villa è la casina delle Civette. Sembra una casa delle fate o una tenebrosa dimora di qualche mago visto il tema decorativo predominante della civetta. L’elemento decorativo più caratteristico consiste nelle splendide vetrate liberty, notevoli anche le maioliche usate non solo nella pavimentazione ma anche in alcune pareti. Nel 1839 nasce su committenza del principe Alessandro Torlonia come capanna svizzera (tra rifugio alpino e vaccheria svizzera) ad opera di Giuseppe Jappelli. Nel 1908 il principe Giovanni decise di farne una residenza privata dove trasferirsi e dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1938. L’architetto Enrico Gennari venne incaricato di ampliare la costruzione con l’addizione di un nuovo corpo di fabbrica. A partire dal 1917 si ebbe l’ultima trasformazione con l’architetto Vincenzo Fasolo[11] che vi aggiunse loggette sostenute da colonne marmoree e mensole di stampo medioevale, il risultato fu la felice fusione raggiunta tra architettura e arti applicate. La presenza, nelle decorazioni di molte civette, nelle vetrate e nel mobilio, modificò il nome della casina. Per l’esecuzione delle vetrate ci si avvalse dell’artigiano Cesare Picchiarini che realizzò vetrate con vetri policromi legati a piombo su cartoni predisposti da Duilio Cambellotti[12], Paolo Paschetto, Umberto Bottazzi, Vittorio Grassi.

     Per l’abbandono e le devastazioni dell’occupazione militare le vetrate sono andate distrutte, solo grazie ai disegni originali rinvenuti presso una vetreria romana ancora attiva, è stato possibile ricostruirli.

     All’interno, è stato creato (1997) un museo unico al mondo: il MUSEO DELLA VETRATA.

 

 

PORTA PIA

fu costruita per volere di papa Pio IV Medici[13] (da cui il nome) su disegno di Michelangelo tra il 1561 e il 1565, si tratta dell'ultima opera dell'artista. La porta Nomentana di epoca romana si trovava poche centinaia di metri più a Est.

     Secondo il Vasari Michelangelo presentò al papa tre progetti, tutti belli, per cui venne scelto il più economico. Siccome l'artista aveva ottantacinque anni lasciò la realizzazione dell'opera ai suoi collaboratori. Nel 1853 la porta venne ricostruita su progetto di Virginio Vespignani[14]. Per un maggiore effetto scenico la porta era quindi un po' arretrata rispetto alla linea delle mura alla quale era collegato con due tratti di muro obliqui sovrastati dalla stessa merlatura della porta, era ad una sola arcata. Le stampe fino al 1577 raffigurano una torre sul lato esterno della porta, poi appare mozzata.

     La facciata esterna ospita due statue fiancheggiate da quattro colonne con le statue di Sant'Agnese e di Sant'Alessandro, messe per volontà di Pio IX. Le due statue furono danneggiate dai cannoneggiamenti per aprire la breccia nel 1870. Restaurate, furono ricollocate nel 1929.

     L'edificio interno - che era utilizzato come ufficio doganale - è adibito a Museo Storico dei Bersaglieri, perché fu questo corpo ad aprire il varco nelle mura e ad entrare in città nel 1870. Qui si trova la monumentale tomba di Enrico Toti, eroe della prima Guerra Mondiale.

 

 

     MONUMENTO AL BERSAGLIERE

     Di fronte alla porta è il monumento al Bersagliere opera dello scultore Publio Morbiducci[15] e dell’architetto Italo Mancini[16], del 1932. La figura del bersagliere scattante verso porta Pia, si erge su una base ellittica. Sul lato corto verso la porta si legge: “La patria ai bersaglieri MCMXXXII Anno X E.F.”. Sugli altri lati si trovano rilievi che ricordano le più note battaglie sostenute dal corpo, sul lato che guarda piazza Alessandria: Ponte di Goito 8 aprile 1848, Luciano Manara 30 giugno 1849, Porta Pia 20 settembre 1870; sul lato che guarda il ministero: Sciara Sciat 23 ottobre 1911, Enrico Toti 6 agosto 1916, Riva di Villasanta 4 novembre 1918. Sul lato corto verso via Nomentana c’è una poesia di D’Annunzio: “La mia ruota in ogni raggio / è temprata dal coraggio / e nel cerchio in piedi splende / la fortuna senza bende. Anno MDCCCXXXVI”. 

 

     Il luogo è sovente utilizzato dal Partito Radicale per le sue manifestazioni, una di queste si tiene sempre il 20 settembre nella ricorrenza della breccia. Sul lato destro del piazzale si trova il MINISTERO DEI TRASPORTI, oggi ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (attuale ministro è Danilo Toninelli, di Soresina CR - M5S). Venne costruito nel 1911 dall’arch. Pompeo Passerini, lo stesso che diresse i lavori del Vittoriano con Sacconi, progettò l’adiacente Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato.. La sua costruzione seguiva quelle degli altri ministeri che si trovano tutt’ora lungo via XX Settembre.

 

     Qui è veramente nato il cinema narrativo italiano, in “La presa di Roma” (1905, Filoteo Albertini) si vede la presa di porta Pia da parte dei Bersaglieri il 20 settembre 1870. Si tratta di un film di pochi minuti che ricostruiva in uno stabilimento cinematografico l’evento storico che riconduceva Roma all’Italia.

     In “Ladri di biciclette” (1948 De Sica) si vede il piazzale, al disperato protagonista, dopo il furto della bici non resta altro che aspettare il bus sgangherato e super affollato per tornare a casa al Tufello.

     In “Se permette parliamo di donne” (Scola, 1964) uno sfrontato Vittorio Gassman lavora la ministero dei trasporti proprio di fronte alla porta.

     Nella memoria dei romani il monumento è associato al ricordo di Mirella Gregori, giovane ragazza scomparsa nel 1983 negli stessi giorni della scomparsa di Emanuela Orlandi, entrambe mai ritrovate. La Gregori uscì di casa dicendo che aveva appuntamento con una amica presso il monumento al bersagliere, ma quest’ultima interrogata dalla Polizia negò tale incontro.

 

Piero Tucci

30.6.16

 



[1] Gustavo Giovannoni. (Roma 1873-1947) Ingegnere ed architetto, presidente dell’Accademia di San Luca. A lui si deve la fabbrica della Birra Peroni a via Alessandria, oggi Macro. Il piano generale della Garbatella e il rifacimento esterno della chiesa di Santi Luca e Martina.Da: Irene de Guttry, Guida di Roma moderna, ed. De Luca, 1978.

[2] Stile villini città giardino. Da: Irene de Guttry, Guida di Roma moderna, ed. De Luca, 1978.

[3] Foto aerea del quartiere in AA.VV., I rioni e i quartieri di Roma, ed. Newton, 1991, pag. 2003-07.

[4] Fiume Aniene. Le notizie sulle scampagnate al fiume da Sozi Spinelli, pag. 68.

[5] Giuseppe Valadier.   (Roma 1762-1839) Architetto, orafo e argentiere, una delle figure maggiori del neoclassicismo. E’ famoso per la sistemazione di piazza del Popolo e del Pincio (vedi la casina con il suo nome). Ebbe anche un ruolo impostante nel restauro di antichi monumenti come l’arco di Tito (1819), ponte Milvio (1805, sua la torretta sul lato della piazza omonima) e il consolidamento del Colosseo.

[6] Giovanni Battista Caretti architetto, pittore e decoratore, nato a Sant'Agata sul Cannobio (Novara), la sua opera ci è conosciuta solo per le commissioni avute dai Torlonia nella villa (Casino Nobile) e nel demolito palazzo di piazza Venezia. Treccani.

[7] Giulio Carlo Argan  storico dell’arte, fu sindaco di Roma dal 1976 al 1979.

[8] Tromba d’aria a villa Torlonia. Da : la Repubblica, cronaca di Roma del 25.3.08.

[9] Giovanni Battista Caretti. Vedi la nota 2. 

[10] Rinaldo Rinaldi.   (Padova 1793 - Roma 1873) scultore, studiò con Canova, dal 1830 fu membro dell'Accademia di San Luca. Eseguì ritratti e monumenti funebri nelle chiese di Roma. E' autore del busto a Petrarca nel duomo di Padova.

[11] Vincenzo Fasolo l'architetto è autore del Liceo Mamiani a viale delle Milizie (1921), del Palazzo del Governatorato ad Ostia, oggi sede del Municipio (1926), della Caserma dei Vigili del Fuoco a via Marmorata (1928-30), della scuola Diaz a piazza Lodi, della scuola Cadlolo a via della Rondinella, della Colonia Marina Vittorio Emanuele III a Ostia, del Ponte Duca d'Aosta al Foro Italico.

[12] Duilio Cambellotti (1876 - 1960)il padre intagliatore e decoratore lo avviò al mestiere artistico. Diplomatosi in ragioneria frequentò il corso di decorazione pittorica e disegno applicato presso il Museo Artistico Industriale di Roma. Dal 1901 illustrò la Divina Commedia e per tutta la vita fu illustratore di testi letterari. Dal 1905 agli anni Quaranta collaborò con il Teatro Stabile di Roma disegnando costumi e scenografie anche il teatro all'aperto di Ostia, Taormina e Siracusa. Nel 1912 con Picchiarini, Bottazzi e Grassi diede vita alla prima mostra della vetrata a cui ne seguì una seconda nel 1921.

[13] Pio IV Medici Angelo Medici di Marignano. La sorella fu la madre di San Carlo Borromeo, Margherita Medici. Discendente di un ramo milanese dei Medici. Conclude il Concilio di Trento, emana la "Professio Fidei Tridentinae" il 13 nov. 1564. Diede incarico a Michelangelo di disegnare porta Pia. E' sepolto in Santa Maria degli Angeli.

[14] Virginio Vespignani. Architetto collaboratore di Poletti è stato molto attivo durante il pontificato di Pio IX soprattutto in opere di restauro essendo di formazione accademica. Suo il quadriporti del Verano, i restauri a porta San Pancrazio e Porta Pia. E' morto nel 1882.

[15] Publio Morbiducci. (Roma 1889-1963) scultore medaglista e pittore italiano. Porte della Casa Madre dei Mutilati a Roma nel 1926, Monumento ai caduti di Benevento nel 1926, Monumento al Marinaio nel 1928, fontana di piazza del Viminale nel 1929, il monumento al Bersagliere a Porta Pia nel 1931-32, il monumento a Emanuele Filiberto Duca d’Aosta in piazza Castello a Torino con Eugenio Baroni nel 1936-37, i Dioscuri al Colosseo quadrato all’ Eur nel 1940-56.

[16] Italo Mancini. (Napoli 1897 – Roma 1971) Nel 1927 conseguì il diploma di disegno architettonico a Roma, negli anni Venti intraprese l’attività professionale realizzando ville e tombe in Abruzzo, divenne assistente di C. Bazzani. Con lo scultore Morbiducci una collaborazione che lo portarono a realizzare molti progetti: monumento al Finanziere a Roma, ad duca d’Aosta a Torino e alcune mostre come quella sulla Rivoluzione Fascista a Roma, ma l’opera più importante fu il monumento al Bersagliere. Tra il 1932 e il 1933 realizzò alcune residenze per conto dell’Istituto Case Impiegati dello Stato sul lungomare Duilio a Ostia, pensate con un linguaggio razionalista. Prese parte al concorso per il palazzo del Littorio da realizzarsi in via dei Fori Imperiali. Nel secondo dopoguerra utilizzò un linguaggio funzionale. Realizzò il complesso ospedaliero Villa San Pietro sulla Cassia nel 1948, il centro rieducazione minorenni a Casal del Marmo nel 1956, l’ampliamento del Fatebenefratelli all’isola Tiberina nel 1963 e molto altro (da treccani.it)