CASE MUSEO

 

RESPIRIAMO L’ARIA DELLE CASE IN CUI

VISSERO I GENI DELLE ARTI, ENTRIAMO NELLA LORO INTIMITA’

 

Possibile itinerario in bici: Studio Luigi Pirandello via Antonio Bosio 13 (villa Torlonia), Museo Pietro Canonica (villa Borghese), Casa di Alberto Moravia lungotevere della Vittoria 1 (Delle Vittorie), Museo Andersen via P. S. Mancini20 (p.le Flaminio), Casa Museo Mario Praz, via Zanardelli (piazza Navona), Casa Museo De Chirico, piazza di Spagna.

 

     L’istituzione di case-museo è un’iniziativa abbastanza recente per la nostra città. La presenza di case di artisti, scrittori o poeti è una idea che abbiamo preso dai paesi del Nord Europa. Originariamente a Roma esisteva solo la casa di Keats e Shelley, aperta al pubblico da sempre, le altre sono state istituite recentemente.

 

 

CASA DI KEATS E SHELLEY

Piazza di Spagna 26

     L’itinerario non può non iniziare da piazza di Spagna dove al numero 26 si trova la casina Rossa, riportata al colore originario nel 1989, nella quale visse per pochi mesi John Keats[1]prima di morirvi di tubercolosi il 23 febbraio 1821. Nella piccola abitazione, “come vivere dentro un violino” dirà successivamente Alberto Savinio, Keats abitò con il suo amico Joseph Severn che gli fu accanto fino alla morte. La casa è sede dal 1909 della fondazione Keats e Shelley Memorial con annessa biblioteca dotata di guide, diari e memorie dei viaggiatori d’epoca oltre alle opere dei poeti romantici inglesi. Le stanze sono arredate con busti, quadri e ricordi personali oltre alla maschera mortuaria di Keats, inoltre vi sono conservati documenti relativi ai poeti romantici Shelley e Byron. L’edificio simmetrico ospita il famoso Babington’s, la prima sala da tè romana. Entrambi furono costruiti da Francesco De Sanctis, autore anche della scalinata (1723-26).

 

 

CASA DI GIORGIO DE CHIRICO

Piazza di Spagna 31

     La casa nella quale visse gli ultimi trenta anni della sua vita il pittore Giorgio De Chirico è stata aperta al pubblico nel 1998 a vent’anni dalla morte del pittore per volontà della moglie Isabella Pakzswer Far che continuò ad abitarvi fino al 1990, anno della sua scomparsa. Si trova al quarto e ultimo piano del palazzetto Borgognoni in piazza di Spagna, si tratta di un palazzo del Seicento, qui viveva e aveva il suo studio. Gli ambienti e gli arredi sono in tipico gusto anni Cinquanta. Raccoglie una collezione di dipinti che vanno dalla fine degli anni Venti fino a metà degli anni Settanta. Il  primo dei due saloni è dedicato alle opere degli anni Quaranta e Cinquanta con riproduzioni di opere dei grandi maestri del passato, ritratti della moglie Isa e autoritratti. Nella sala da pranzo si trovano sculture di miti della tradizione omerica reinterpretati dal pittore. Nella seconda parte della casa, acquistata in un secondo momento, si trovano pitture del periodo metafisico. Al piano superiore si trova lo studio. L’esposizione dei quadri si deve ad un progetto della Fondazione Giorgio De Chirico. Un’ampia terrazza, con accesso limitato per il pubblico, rappresenta il luogo più amato del pittore.

 

     Giorgio De Chirico (Volos 1888 - Roma 1978) Nato in Grecia da genitori italiani, studiò in Germania, a Monaco, conobbe la filosofia di fine Ottocento e la pittura romantica decadente. A Parigi nel 1910, amico di Apollinaire, fu tuttavia estraneo al cubismo e alle avanguardie in generale. Nel 1916 all'ospedale militare di Ferrara conobbe Carrà e da qui ebbe inizio la teorizzazione della pittura metafisica. Dal 1918 collaborò con Savinio (il fratello) e Carrà alla rivista Valori Plastici che proclamava il ritorno all'ordine e alla tradizione pittorica italiana delle origini. A Parigi nel 1925 partecipò alla prima mostra Surrealista. Nelle sue opere c'è sempre la presenza di qualche elemento classico. Alla Galleria d'Arte Moderna di Roma Capitale "Combattimento di gladiatori". Al Guggenheim di venezia: "La torre rossa", 1913 e ""La nostalgia del poeta", 1914. Alla Ca' Pesaro: "Ritratto di Lionello de Lisi", 1953 e "Bagni misteriosi" del 1935. Ricca collezione di suo quadri al museo Bilotti nell'araciera di villa Borghese. Alla Gnam: "Angelica e Ruggero" da Rubens, "Autoritratto in costume nero", "Natura morta con pesci", "Autoritratto nello studio a Parigi", "Ettore e Andromaca", Autoritratto, "La gravida" da Raffaello, "Gli archeologi" del 1923.

 

 

 

MUSEO PIETRO CANONICA

Villa Borghese, viale Pietro Canonica 2

   Si trova all’interno della Fortezzuola, che fu data all’artista dal Comune di Roma per i suoi meriti artistici. L’ingresso è preceduto dal monumento all'umile eroe e all'Alpino con il mulo di Pietro Canonica, sul monumento è la scritta: "Ca custa lonca custa viva l'Austa" 1915-1918". Opera in bronzo del 1940 che riproduce Scudela = scodella il mulo decorato con croce di guerra, nel 1957 fu aggiunto l'alpino. Il mulo porta l'affusto del 75. La fortezzuola è sede del  museo Canonica.

     La fortezzuola era, prima dei lavori del Settecento, la "casa del Gallinaro", dove venivano allevati struzzi, pavoni e anatre per le battute di caccia della famiglia Borghese. Nel 1926 il Comune la concesse allo scultore Pietro Canonica perchè ne facesse la sua abitazione e il suo studio. Dopo la sua morte (1959) le opere rimaste nello studio andarono a costituire il museo aperto al pubblico nel 1961, in esso si mischiano oggetti personali dello scultore con ritratti di sovrani, capi di stato e personalità d'Europa e d'America. Fu infatti ritrattista della nobiltà e di numerose case regnanti europee.

     La collezione del museo è costituita principalmente da: marmi, bronzi, modelli originali, oltre ad un gran numero di bozzetti, studi e repliche che costituiscono un itinerario completo della evoluzione di questo artista. Oltre alle sette sale espositive al piano terra, è possibile visitare l’appartamento privato dell’artista. In questa parte sono raccolti arredi di pregio, oggetti d’arte, arazzi fiamminghi e perfino una armatura da samurai risalente al sec. XVI. Molto importante la collezione di dipinti di proprietà dello scultore soprattutto di pittori piemontesi dell’Ottocento: Fontanesi, Gamba, Quadrone e Vavalleri.

 

     Pietro Canonica (Moncalieri 1869- Roma 1959) scultore e compositore, docente all’accademia di Belle Arti di Roma, senatore a vita nel 1950. Partecipa alle più importanti esposizioni nazionali e internazionali: Parigi, Venezia, Londra, Berlino, ecc. Si afferma negli ambienti dell’alta aristocrazia e viene chiamato presso tutte le corti d’Europa dove fanno a gara per commissionargli opere celebrative, ma soprattutto busti. La prima guerra mondiale cancella questo mondo per cui molti ritratti degli zar che si trovavano in Russia vengono distrutti con la rivoluzione d’Ottobre. 

     Sue opere sono: Monumento ai caduti di Vetralla offerto dallo scultore stesso; monumento ai caduti nella villa comunale di Chieti; monumento ai caduti in piazza 66 martiri a Grugliasco; monumento ai caduti di Bene Vagienna (Cuneo); Soldato a cavallo a Torino in piazza Castello; monumento a Giuseppe Manno nei giardini pubblici di Alghero; statua di San Paolo nella cattedrale di Messina; statua di dolente a Moncalieri nella cappella Dellachà. A Stresa si trovano una ventina di sue sculture ospitate nella sala Canonica del palazzo dei Congressi. In Inghilterra ha realizzato la statua della Regina Vittoria a Buckingham Palace. In Turchia la statua a Kemal Ataturk e il monumento a Faysal I dell’Iraq (andata distrutta). In Colombia una statua equestre di Simon Bolivar. In Argentina il monumento funebre al presidente Josè Figueroa Alcorta.

 

 

CASA DI ALBERTO MORAVIA

Lungotevere della Vittoria 1

     In un appartamento all’ultimo piano lo scrittore abitò dal 1963 fino al 1990 anno della sua scomparsa. Era nato a Roma nel 1907. Si tratta di una delle figure più importanti del Novecento europeo, dalla personalità complessa, sostenuta da una forte passione civile e da grande curiosità intellettuale. Dal 1991 nella casa ha sede l’Associazione Fondo Alberto Moravia costituita dalle sorelle e dalle eredi Carmen Llera e Dacia Maraini allo scopo di creare un centro studi per la ricerca e lo studio della sua opera. L’archivio, riordinato e catalogato è a disposizione di ricercatori e studiosi.

     Nei diversi ambienti, arredati con semplicità e modernità, si possono vedere le opere d’arte e gli oggetti della collezione: dipinti su carta, donati allo scrittore da amici artisti, maschere e oggetti raccolti durante i suoi viaggi in Oriente e in Africa.

     Tra le opere in esposizione: un “Ritratto di Moravia” di Renato Guttuso,  una “Natura morta astratta” di Corrado Cagli, un “Astratto con reticolato nero” di Giulio Turcato, una “Finestra con piana di ficus” di Mario Schifano, un “Profilo di Moravia” di Mario Ceroli.

 

     Alberto Moravia è lo pseudonimo di Alberto Pincherle, scrittore, giornalista, saggista, reporter di viaggio e drammaturgo, è nato a Roma nel 1907 e morto nella stessa città nel 1990. E’ considerato uno dei più importanti romanzieri del XX secolo, ha esplorato nelle sue opere i temi della sessualità moderna, dell’alienazione sociale e dell’esistenzialismo. La fama gli è venuta nel 1929 con la pubblicazione del romanzo Gli indifferenti a cui ne seguirono altri trenta. I temi centrali dell’opera di Moravia sono l’aridità morale, l’ipocrisia della vita contemporanea e la sostanziale incapacità degli uomini di raggiungere la felicità nei modi tradizionali. La sua scrittura è rinomata per lo stile semplice e austero, caratterizzato dall’uso di un vocabolario comune inserito in una sintassi elegante ed elaborata.

 

 

 

CASA MUSEO DI MARIO PRAZ

Via Zanardelli 2 (Palazzo Primoli)

     Questa casa museo si trova all’interno di palazzo Primoli, è stata aperta al pubblico nel 1995 dopo la morte del grande anglista Mario Praz avvenuta nel 1982. In dieci ambienti sono in esposizione oltre 1.200 pezzi, tra dipinti, sculture, mobili ed arredi che costituiscono la raccolta di oggetti databili tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Ogni singolo pezzo è stato acquistato sul mercato antiquario europeo per la sua casa in palazzo Ricci a via Giulia e poi dal 1969 in questo palazzo fino alla morte. Nella sua autobiografia La Casa della Vita del 1958 (aggiornata nel 1979), Mario Praz descrive i diversi ambienti della casa intrecciando il racconto della sua vita con quello degli oggetti presenti nella casa. I primi mobili furono comprati a Firenze, dove studiava, poi altri comprati in Inghilterra dove insegnava italiano all’Università di Liverpool e Manchester, infine dal 1934 a Roma dove divenne titolare della cattedra di Lingua e Letteratura inglese alla Sapienza.

     Durante i suoi viaggi di studio in Austria, Francia, Germania e nel Nord Europa, ha compiuto ulteriori acquisti che hanno dato un carattere europeo alla raccolta. Spiccano i mobili inglesi, i bronzi francesi, i cristalli boemi, le porcellane tedesche, le tante vedute di città italiane e europee, i ritratti delle grandi famiglie reali europee.

     La collezione è stata acquistata dagli eredi di Mario Praz per due miliardi e cento milioni di lire, ricollocata nell’appartamento al terzo piano di palazzo Primoli a cura della Gnam di cui è un museo satellite.

 

     Mario Praz (nato a Roma nel 1896 e morto nella stessa città nel 1982) è stato critico d’arte e di letteratura ma anche traduttore e giornalista. I suoi studi sono incentrati in particolare sull’Inghilterra fra il Seicento e l’Epoca Vittoriana, ma si è occupato anche di letteratura italiana, francese, spagnola, tedesca e russa.

     Il padre era proveniente da una famiglia di origine svizzera trasferitasi in Valle d’Aosta in seguito alle persecuzioni religiose, era un impiegato di banca, la madre era contessa. Mario Praz trascorse i primi anni in Svizzera dove il padre lavorava, per una deformità congenita al piede destro fu operato con successo al Rizzoli di Bologna. Alla morte (1900) del padre si trasferì, con la madre a Firenze presso il nonno materno. Nel 1912 la madre sposò un medico condotto.

   Frequentò il liceo Galileo Galilei a Bologna, quindi la facoltà di Giurisprudenza a Bologna, poi a Roma dove si laureò nel 1918, due anni più tardi si laureò in Lettere. Frequentò l’ambiente inglese di Firenze, scrisse per un periodico inglese e si dedicò alla traduzione di poeti inglesi dell’Ottocento. Pubblicò saggi di critica letteraria in L’Italiano di Leo Longanesi  e altre riviste. Conobbe Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Emilio Cecchi e Cesare De Lollis.

     Nel 1923 si trasferì a Londra dove fu lettore di italiano presso l’Università di Liverpool, scrisse saggi sui poeti inglesi dell’Ottocento. Nel 1926 compì il primo viaggio in Spagna che sarà argomento di un suo libro. Tornato a Firenze frequentò Eugenio Montale, nel 1930 pubblicò: “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica” che contribuì ad estendere la sua fama in Europa ma ebbe reazioni contrarie in Italia, tra queste quello di Benedetto Croce.

     Nel 1932 ottenne la cattedra di italiano all’università di Manchester, quindi la cattedra di letteratura inglese alla Sapienza, istituita per lui. Si sposò con Vivyan Eyes, nel 1938 nacque la figlia Lucia che vivrà sempre con la madre dopo la separazione dei genitori. I suoi amici parlarono di malinconica solitudine per le vicende familiari dello scrittore (Elio Chinol, D’Agostino, Beniamino Placido).

     Dalla cattedra universitaria si dedicò alla creazione di una scuola anglistica in Italia che ebbe allievi come Vittorio Gabrieli, Agostino Lombardo, Giorgio Melchiori, Gabriele Baldini e Masolino d’Amico. Nel 1936 viene pubblicata, presso Sansoni, la Storia della letteratura inglese, riveduta e ampliata nel 1960 e ancora nel 1979.

     Nel dopoguerra, col sostegno del british Council fondò una rivista di anglistica: English Miscellany. Iniziò la sua attività di collezionista, da qui il suo libro autobiografico. Continuò la sua attività anche dopo il ritiro dall’insegnamento. Nel film “Gruppo di famiglia in un interno” di Luchino Visconti, con sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico, il protagonista è stato creato ispirandosi dichiaratamente al Mario Praz degli ultimi anni. Non fu apprezza dallo scrittore. Collaborò con Il Tempo, Il Giornale di Montanelli, la Stampa e Il Borghese.

 

 

 

MUSEO ANDERSEN

Via Pasquale Stanislao Mancini 20

     Il museo Andersen è la casa, progettata e realizzata dall’arch. Hendrik Christian Andersen per se e la sua famiglia tra il 1922 e il 1925. In essa ha vissuto fino alla morte, alla scomparsa della sorella adottiva la casa, lo studio e tutte le opere in essa contenuta sono passate allo Stato che ne ha affidato la gestione alla Gnam. Il museo ha aperto al pubblico il 19 dicembre 1999.

 

     Nato a Bergen in Norvegia nel 1872 da povera famiglia e naturalizzato americano, essendo emigrato ancora bambino negli Stati Uniti, a Newport (Rhode Island), il giovane Andersen intraprese il viaggio di formazione in Europa nel 1894 e, dopo Parigi, si stabilì definitivamente a Roma dove visse per oltre quarant'anni. Alla sua morte, il 19 dicembre 1940, lasciò in eredità allo Stato italiano il suo studio-abitazione di via Mancini e quanto in essa contenuto: opere, arredi, carte d'archivio, materiale fotografico, libri. Ma solo dopo la morte nel 1978 di Lucia Andersen (adottata nel 1919 dalla madre dell'artista e quindi usufruttuaria del lascito).

 

    La collezione delle opere (oltre duecento sculture di grandi, medie e piccole dimensioni in gesso e bronzo; oltre duecento dipinti; oltre trecento opere grafiche) si segnala per la sua eccezionalità essendo quasi interamente incentrata attorno all'idea utopica di una grande "Città mondiale", destinata ad essere la sede internazionale di un perenne laboratorio di idee nel campo delle arti, delle scienze, della filosofia, della religione, della cultura fisica. Doveva essere una sorta di capitale internazionale. Dai disegni presenti nel laboratorio dell’artista si capisce che tale città doveva essere creata alla foce del Tevere, più o meno dove oggi si trova l’aeroporto di Fiumicino (doveva sorgere un porto che aveva al suo ingresso una sorta di Colosso di Rodi).  A tale progetto e alla sua diffusione Andersen aveva dedicato nel 1913 insieme all'architetto francese Ernest Hébrard un ponderoso volume (Creation of a World Centre of Communication; consultabile presso il Museo) che, partendo dalle concezioni urbanistiche delle antiche civiltà, doveva indicare l'approdo alla nuova e moderna "Città".

 

    I due grandi atelier al piano terra, a sinistra e destra dell’ingresso, caratterizzano l’edificio per chi lo vede dall’esterno. Dopo i restauri sono ritornati ad essere il suggestivo scenario per le monumentali sculture anderseniane sui temi dell'amore, della maternità, della gagliardia fisica, destinate a decorare gli edifici della "Città mondiale", alla quale si riferiscono anche i grandi disegni-progetto appesi tutt'attorno alle pareti del laboratorio di destra.

     L'appartamento al primo piano, già abitazione dell'artista e da lui stesso decorato con stucchi e pitture, costituisce invece spazio espositivo per mostre temporanee dedicate ad artisti stranieri dell'Otto e del Novecento ma anche contemporanei.

     Con gli Stati Uniti, in particolare, Andersen mantenne sempre contatti al più qualificato livello. Boston, Newport e il New England rappresentarono infatti i suoi costanti punti di riferimento, principalmente attraverso il profondissimo legame stabilitosi con la cognata Olivia Cushing, scrittrice di colta e facoltosa famiglia bostoniana, vissuta con lui a Roma dopo la precoce morte nel 1902 del marito Andreas Andersen, pittore di talento le cui opere si conservano anch'esse nel Museo. Molto significativo anche lo stretto e affettuoso rapporto che legò Hendrik Andersen ad Henry James, documentato dalle settantasette lettere del maturo scrittore al più giovane amico a partire dal 1899 fino al 1915 (pubblicate da Marsilio nel 2000) e da un quadro presente al piano terra, atelier di destra.

     Tra le opere esposte spiccano: Il giorno del 1904, Amore o Il bacio del 1906, Giacobbe e l’Angelo del 1909, Nudo femminile con quattro putti del 1916. E’ presente anche il progetto per la cappella di famiglia presente nel cimitero inglese alla Piramide.

 

 

CASA DI GOETHE

Via del Corso 18

     In via del Corso 18, vicino a piazza del Popolo, si trovava una piccola pensione chiamata Casa Moscadelli, dove alloggiò Goethe[2]durante i suoi soggiorni romani. La casa era abitata anche da altri viaggiatori tedeschi, tra questi il suo compagno di viaggio, il pittore Johan Heinrich Tischbein, che ritrasse il poeta – in un celebre quadro – con la campagna romana sullo sfondo, si individua la mole della Tomba di Cecilia Metella.

     Nel museo sono esposti disegni, acquerelli e lettere rievocativi del viaggio in Italia dello scrittore. Ci sono poi dipinti di Salvator Dalì, Toulose Lautrec, Henry Rousseau, Handy Warhol; una sala è dedicata agli studi di ottica che appassionava Goethe.

     Goethe arrivò a Roma il primo novembre 1786, in incognito, sotto falso nome, per poter godere a pieno del suo tempo, vi restò fino al 21 febbraio 1787 quando partì per Napoli e la Sicilia, tornò a Roma l’8 giugno per restarvi fino al 24 aprile 1788. A Roma scrisse Ifigenia in Tauride, Egmont, il romanzo Wilhelm Meister e naturalmente le Elegie Romane, ripotando nel suo Viaggio in Italia tutte le impressioni che questa città sapeva dargli. Particolarmente struggenti le parole di saluto alla città che scrive nel suo diario prima di partire, sapendo che non vi sarebbe più tornato: “Lasciare questa capitale del mondo, della quale sono stato cittadino per tanto tempo, e senza speranza di ritorno, dà un sentimento che a parole non si può esprimere. Nessuno lo può comprendere se non l’abbia provato”.

     Grazie all’amicizia con il suo compagno di viaggio pittore, a Roma Goethe coltivò la passione per il disegno, realizzò diverse vedute romane che avrebbe voluto pubblicare. A Roma strinse amicizia con Angelica Kauffmann[3]ed ebbe una appassionata relazione d’amore con una popolana romana Faustina Antonini, di cui parla con molta sincerità.  La conobbe all'osteria della Campana, nel vicolo omonimo oggi scomparso presso l'attuale via del Teatro di Marcello. Racconta che la giovane vedova, in compagnia della madre, volle sedersi davanti a lui, fece di tutto per farsi notare, parlando a voce alta, versando il vino fuori dal bicchiere e poi in quello del poeta per sbaglio. A fine serata gli diede appuntamento alle quattro di notte. Goethe ci andò e vi tornò altre volte. Scrisse: "Faustina è la mia felicità: essa divide volentieri il letto con me e serba fede incorrotta al suo fedele amante". In questa osteria il re Luigi di Baviera fece porre una lapide a ricordo della presenza del poeta. Nulla vi è rimasto dopo le demolizioni degli anni Trenta[4].

     Nel cimitero inglese è sepolto l’unico figlio di Goethe, August, che ebbe da Christiane Vulpius, che amò al ritorno dall’Italia a Weimar.

     A villa Borghese si trova il monumento a Goethe, realizzato dallo scultore Valentino Casali su modello del tedesco Gustav Eberlein e donato alla città di Roma dall’imperatore Guglielmo II, fu inaugurato nel 1904.

 

 

STUDIO DI LUIGI PIRANDELLO

    Lo studio si trova in via Antonio Bosio 13b, ultimo piano, è l’ultima casa abitata dallo scrittore. Negli anni 1913-18 vi abitò con la famiglia, dal 1933 al 1936 vi abitò da solo ma con un autista factotum Francesco Armellini, al piano inferiore abitava il figlio Stefano con la famiglia. Qui ricevette notizia del premio Nobel. Quando nel 1938 il villino fu comprato dallo Stato per farne l’ufficio Centrale Metrico, i figli dello scrittore si dichiararono disposti a donare tutto quanto era contenuto nello studio allo Stato purchè il tutto passasse al Ministero dell’Educazione Nazionale perché venisse conservata la memoria dello scrittore. Solo nel 1961 il Ministero della Pubblica Istruzione decise di affidarne la custodia all’Istituto di Studi Pirandelliani (il ministero dei Beni Culturali sarà istituito solo nel 1974). L’istituto cura la conservazione della casa, promuove studi sull’opera di Pirandello, conserva e rende fruibile la biblioteca e l’archivio della casa, promuove studi sul teatro contemporaneo. Il catalogo della biblioteca è online.

 

 

     Luigi Pirandello (nato a Girgenti, oggi Agrigento, nel 1867 morto a Roma il 10 dicembre 1936) fu un drammaturgo, scrittore e poeta italiano insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l’innovazione del racconto teatrale è considerato tra i maggiori drammaturchi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi in dialetto siciliano e in ligua italiana.

     Nacque in contrada Caos, in una tenuta agricola, dove si era trasferita la famiglia in seguito ad una epidemia di colera. Il padre aveva partecipato alle imprese di Garibaldi. La famiglia aveva una condizione agiata grazie ad una miniera e al commercio dello zolfo. Ebbe un’infanzia serena anche se dormiva solo tre ore al giorno. Studiò all’università di Roma e a quella di Bonn. Nella città tedesca conobbe una giovane Jenny, della quale si innamorò, con la quale convisse nella pensione tenuta dalla madre. Tornato in patria, nel 1894 sposò Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre, fu un matrimonio concordato, nonostante ciò nacque l’amore e la passione. Grazie alla dote della moglie si trasferì a Roma. Nel 1895 nacque Stefano (diventerà drammaturgo come il padre), nel 1897 Lietta, nel 1899 Fausto (diventerà pittore).

     Nel 1903 una frana nella miniera di zolfo ridusse la famiglia sul lastrico, a questo si unirono i problemi di disagio mentale della moglie sempre più spesso soggetta a crisi isteriche causate dalla gelosia. La partenza per il fronte di Stefano e la sua prigionia in Austria, peggiorò la situazione, finchè Luigi, disperato acconsentì che la moglie fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico sulla Nomentana dove morirà nel 1959 all’età di 88 anni. Tutto ciò porto Pirandello ad interessarsi degli studi di psicoanalisi di Sigmund Froid. Spinto da ristrettezza economiche prese la cattedra di stilistica al magistero femminile (1897-1922), impartì lezioni private di tedesco, dal 1909 collaborò al Corriere della Sera.

     Il suo primo grande successo fu il romanzo “Il fu Mattia Pascal”, scritto nelle notti di veglia alla moglie paralizzata alle gambe. Il libro pubblicato nel 1922 ebbe grande successo di pubblico ma non di critica. Ebbero successo di pubblico e di critica le sue opere teatrali: Lumie di Sicilia (1910) e Liolà (1916).

     Dopo la prima guerra mondiale Pirandello si dedica completamente al teatro , nel 1925 fonda una propria compagnia d’Arte con due grandissimi interpreti: Marta Abba e Ruggero Ruggeri. Con questa compagnia iniziò a girare il mondo, le sue opere vennero rappresentate anche a Broadway. Nel giro di un decennio fu il drammaturgo di maggior fama nel mondo come testimonia il premio Nobel assegnatogli nel 1934. Marta Abba fu sua musa ispiratrice. Le sue opere venne portate sul grande schermo e interpretate da Greta Garbo, negli Usa incontro Einstein, in una conferenza stampa difese la guerra d’Etiopia.

     Sempre di idee patriottiche, in gioventù ebbe simpatie per il socialismo, nel 1924 chiese l’iscrizione al partito fascista (era il momento critico del rapimento di Matteotti). Nel 1935, in nome dei suoi ideali patriottici partecipò alla raccolta dell’oro per la patria donando la medaglia del premio Nobel ricevuta l’anno prima.

     Amava trascorrere ampi periodi dell’anno a Soriano nel Cimino, di cui amava i boschi.

     Grande appassionato di cinema, mentre assisteva a Cinecittà alle riprese del Fu Mattia Pascal, si ammalò di polmonite, aveva già avuto due attacchi di cuore. Al medico disse: “Non abbia paura delle parole, questo si chiama morire”. Il fascismo avrebbe voluto funerali di Stato. Vennero rispettate le sue volontà: un carro di ultima classe, nessuno seguì il suo feretro, il suo corpo venne cremato senza alcuna cerimonia ne civile ne religiosa. Le sue ceneri vennero deposto in un vaso greco e portate nella villa di famiglia in contrada Caos.

 

 

 

 

 

 

ALTRE CASE MUSEO

Studio di Francesco Trombadori.

     Lo studio si trova in via di Villa Ruffo 31 all’interno del parco denominato villa Strohl Fern. Francesco Trombadori è una delle figure più importanti della cosiddetta “Scuola Romana”, quel gruppo di pittori che hanno operato a Roma tra le due guerre mondiali, rifutandosi di agire in continuità con il regime fascista, ovvero di rispettare i dettami che il regime imponeva agli artisti. La villa fu una celebre colonia di artisti attiva per più di ottant’anni, ebbe ospiti del calibro di Rainer Maria Rilke, Arturo Martini e Carlo Levi, venne acquistata nel 1879 da un mecenate alsaziano Alfred Strohl Fern che la lasciò in eredità allo stato francese, oggi è sede della Scuola Chateaubrind.

     Lo studio n. 12 con soppalco, scala lignea e lucernaio, ultimo della serie di studi di artisti, è sopravvissuto intatto nella sua struttura ottocentesca. Prima di essere abitato da Francesco Trombadori, fu di artisti prussiani, dopo la prima guerra mondiale da Cipriano Efisio Oppo e dal 1931 da Trombadori. Dal 1985 vi è un vincolo del Ministero dei Beni Culturali per cui non può essere modificato. Vi sono conservati gli arredi d’epoca, alcune opere, l’archivio e la biblioteca del pittore. L’appartamento è custodito dalla figlia del pittore Donatella che presiede l’Associazione Amici di Villa Strohl Ferm. E’ meta di visite solo su appuntamento.

     Lo studio è composto da un grande ambiente che si sviluppa in altezza per circa otto metri con un lecernaio sul soffitto e sulla parete nord, mentre una scala di legno conduce al soppalco in muratura che si affaccia nello studio che sul viale. E’ dotato di servizi e di un giardino privato.

 

 

Casa Museo Giacinto Scelsi.

     Si trova in via di San Teodoro 8, di fronte al Palatino. E’ stata aperta al pubblico nel 1996, la casa è stata donata allo stato dall’artista che ci ha lasciato con la musica, le poesie, gli scritti, anche il luogo nel quale è vissuto e che ha tanto amato. Oggi oggetto, quadro, strumento musicale, libro ha la sua storia, tutto si compone armoniosamente, creando mille suggestioni. Spicca il pianoforte che il maestro suonava da virtuoso, le ondiole con le quali poteva esprimere e modulare il suo concetto di suono, raffinati oggetti orientali, antiche trombe tibetane, il quadro di Salvator Dalì “Coppia con le teste piene di nuvole”. Sono esposte le foto della sua infanzia, della sorella a cui è dedicata la Fondazione, i giocattoli. Un grande terrazzo è stato testimone degli eventi della famiglia. Dal 2007 la casa museo svolge una intensa attività musicale per la divulgazione della musica contemporanea.

 

Museo Fondazione Venanzo Crocetti.

     Si trova in via Cassia 492, prima dell’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli. Il museo, creato dallo scultore che visse in questo luogo per circa cinquanta anni, accoglie le opere realizzate in un arco di tempo di oltre settanta anni. Vi sono esposte 90 sculture in bronzo e una in marmo, due dipinti su tela e quindici tra disegni e tecniche viste su carta. Articolato su due piani, il museo si compone di cinque sale per l’esposizione permanente, una sala conferenze, una per mostre temporanee, una cappella allestita dal maestro stesso.

     Fra le opere, spiccano capolavori come Gazzella ferita e Fanciulla al fiume,entrambe del ’34, Ragazza seduta del ’46, Bozzetto per la porta di San Pietro in Vaticano del ’58, Modella in riposo del ’64, La Maddalena del 1973-76, Modella che riordina i capelli dell’85 e Maternità del ’98.

     Venanzo Crocetti nasce il 3 agosto 1913 a Giulianova (Teramo), a dieci anni perde la madre, a dodici perde il padre mastro muratore. Lo zio paterno lo prende con sé a Porto Recanati. Frequenta le scuole industriani dove si distingue nel disegno. Nel 1930 inizia ad esporre figure di animali, l’anno successivo espone a Roma in una collettiva. Nel 1932 vince il concorso di scultura all’Accademia di San Luca. Riceve l’invito per la Biennale di Venezia del 1934. L’anno successivo partecipa alla Quadriennale di Roma. Gli viene commissionata una statua dell’Arcangelo da collocare nella piazza della chiesa di Aprilia (1936). Nel 1938, alla Biennale di Venezia gli viene assegnato il Gran Premio Scultura. Espone in diverse città europee. Nel 1940 esegue il ritratto di D’Annunzio per la Casa Madre dei Mutilati a Roma. Dopo la guerra, nel 1946 riceve l’incarico alla cattedra di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia rimasta vacante dopo la morte di Arturo Martini. Nel 1950 vince il concorso per una delle porte di San Pietro in Vaticano, lavora alla statua di Sant’Agnese nella chiesa di Sant’Eugenio a Roma. Nel 1954 esegue una grande crocifissione in bronzo per l’altare maggiore della basilica di San Leone Magno in Roma. L’anno successivo vince il concorso per la cattedra di scultura all’Accademia di Firenze, dove si trasferisce. Nel 1957 inizai la grande via Crucis per la chiesa di Don Bosco a Roma. Nel 1965 viene inaugurata da Paolo VI la porta di San Pietro, l’anno successivo è trasferito all’Accademia di Roma. Nel 1972 viene nominato presidente dell’Accademia Nazionale di San Luca. Espone a Tokyo e Osaka. Nel 1974 mostre personali a Hong Kong e Montreal, si reca in America. Nel 1977 visita il Giappone. Nel 1991 Il Cavaliere della Pace viene collocato definitivamente sulle colline di Colignì a Ginevra, l’anno successivo l’Ermitage gli dedica una sala permanente. Nel 1996 il ministero dei Beni Culturali accetta la donazione del museo Crocetti, la Sovrintendenza si oppone, lo scultore decide di gestire il museo tramite una fondazione. Nel 2000 termina i lavori dell’Annunciazione, viene benedetta da Giovanni Paolo II e collocata sulla porta posteriore del Duomo di Teramo. Nel 2002 si inaugura il museo Crocetti di Roma, il 3 febbraio 2003 muore a Roma.

 

BIBLIOGRAFIA

- AA.VV. Guida d’Italia, Roma, ed. Tci, 1993.

- AA.VV. Roma, libri per viaggiare, ed. Gallimard – Tci, 1994.

- AA.VV. I rioni e i quartieri di Roma, ed. Newton & Compton, 1989.

- AA.VV. Le strade di Roma, ed. Newton & Compton, 1990.

- Claudio Rendina (a cura di), Enciclopedia di Roma, ed. Newton & Compton, 2005.

- G.C. Argan, Storia dell'arte italiana, ed. Sansoni, 1975.

- AA.VV. Storia dell'Arte, Istituto Geografico De Agostini,1975.

- AA.VV. Storia Universale dell'Arte, ed. Leonardo,1997.

- Ernest H. Gombrich, La storia dell'arte, ed. Leonardo, 1995.

- AA.VV. L'arte nella storia dell'Uomo, Giunti, 1997.

- AA.VV. Enciclopedia Universale, ed. Garzanti, 2003.

- AA.VV. Enciclopedia dell’Arte, ed. Garzanti, 2002.

 

 

SITOGRAFIA

Turismoroma.it

Tripadvisor.it

Prolocoroma.it

Specchioromano.it

Tuttomusei.blogspot.com

Keats-shelley-house.org

Fondazionedechirico.org

Museocanonica.it

Museiincomuneroma.it

Casalbertomoravia.it

Museopraz.beniculturali.it

Museoandersen.beniculturali.it

Studiodiluigipirandello.it

Culturalazio.it

Fondazionecrocetti.it

Tucci Piero

14.02.16

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[1] John Keats (Londra 1795- Roma 1821) sensibile poeta inglese, tra i maggiori rappresentanti dell'età romantica, trovò nell'ode la forma più adatta a esprimere la sua ricca ed esuberante immaginazione.

[2] Johann Wolfang Goethe (Francoforte sul Meno 1749 - Weimar 1832) dopo aver esercitato per qualche tempo l'avvocatura, ottenne rapida fama con la pubblicazione del dramma Goez di Berlichingen (1773) e del romanzo epistolare "I dolori del giovane Werther" (1774) che chiuse il periodo inquieto e tormentato del giovane poeta. Entrato a far parte della corte del granduca di Weimar (1775), ne fece un centro di vita intellettuale. Il nuovo ambiente sereno, l'amore per Charlotte von Stein, l'amicizia di Schiller e di Herder, due viaggi in Italia, placarono il suo animo, dando più sereno respiro alla sua ispirazione in cui si era compiuta una felice osmosi tra mondo tedesco e mondo classico greco- romano. Sono di questo periodo: "Ifigenia in Tauride" (dramma), "Le affinità elettive" (romanzo). Fino alla morte lavorò alla stesura del Faust, dramma che ideò nel 1772, rielaborò nel 1808 e terminò nel 1831. Manifestò l'amore per il nostro paese in "Viaggio in Italia" (1816-17).

[3] Angelica Kauffmann (1741-1807) pittrice svizzera specializzata nella ritrattistica e nei soggetti storici. Nata a Coira nel cantone dei Grigioni si stabilì a Roma.

[4] Amore di Goethe per Faustina le notizie da: Claudio Rendina, Le strade di Roma, vol. I pag. 266.