I BANGLA A ROMA

 

PERCORSO:

  1. PIAZZA VITTORIO

  2. PANTANELLA

  3. ELEMENTARE PISACANE V. ACQUA BULLICANTE 30

  4. STAMPERIA ‘TERRA MADRE’ VIA D. MARRANELLA 123

  5. MOSCHEA ‘AL HUDA’ VIA DEI FRASSINI 4

 

Bangla: quarta comunità a Roma dopo Rumeni, Filippini e Srilankesi. Dopo di loro vengono i Cinesi.

“Torpigna” è diventato “Banglatown”. Sono la 4^ comunità dopo quelle di Dacca (Bangladesh), Calcutta e Londra. Sta fra India, Birmania e golfo del Bengala. Inondazioni, cicloni e mareggiate. 1/10 del PIL proviene dalle rimesse degli emigrati alle famiglie rimaste in patria.

Ramadan 2022: 2 Aprile – 2 Maggio. Il calendario islamico è lunare, basato sulle rotazioni della LUNA intorno alla TERRA (noi terra intorno al sole). A Maggio poi c’è la “Festa Grande”, simile al nostro Capodanno.

PERCORSO:

I bangladesi sono rinomati giocatori di cricket, come tutta l’area indo-pakistana e srilankese che ha subito l’influenza del colonialismo britannico. Attraverso lo sport i ragazzi cercano una via di rivalsa alla loro condizione di vita in Italia, ed è successo che squadre di cricket formate da ragazzi giovanissimi siano arrivate a competere ad alti livelli (per poi scontrarsi con la burocrazia dei tesseramenti). Solo a Roma vanno citate tre importanti squadre: il Bangla Boys Cricket Club, il Rome Bangladesh Cricket Club e il Piazza Vittorio Cricket Club.

 

  • Piazza Vittorio cricket”: cricket (portieri di palazzi al centro, ortofrutta, pizza-supplì). 6 squadre senior tre categorie (A,B,C) es. il “Green Bangla Sporting Club”, serie C, tutti bengalesi, si incontrano una volta a settimana al parco dell’Aniene, giocano con la Polisportiva Lazio, il derby del cricket romano di serie C.

Pantanella:si registrò negli anni Novanta il primo caso di occupazione di uno stabile (La Pantanella, ex-fabbrica di pasta abbandonata) da parte di cittadini immigrati, a causa della mancanza di luoghi ove dormire. Da quel momento il movimento d’entrata nella nostra nazione non si è più arrestato. Se nel 1990 la sanatoria della “legge Martelli” contava 4.296 permessi di soggiorno per cittadini bangladesi, nel 2003 si registravano 27.356 residenti, sino ad arrivare agli 82.451 d’inizio 2011.

La ditta Ducco e Valle

Nel 1871, i piemontesi Pietro Ducco e Francesco Valle, che già possedevano una negozio di cereali e granaglie in via del Gesù a Roma, ottennero dal Comune il permesso di costruire uno stabilimento per la macinazione dei cereali con 20 mulini a vapore nel lotto di terreno posto fra le vie Prenestina e Casilina, poco fuori Porta Maggiore[1], dove è posto il monumento sepolcrale del fornaio romano Marco Virgilio Eurisace[2]. Con questo nuovo stabilimento, la ditta Ducco e Valle giunse a rappresentare, per volume d'affari, la seconda società dei mulini romani dopo la società di Michelangelo Pantanella[3], che si trovava negli edifici che attorniano la basilica di Santa Maria in Cosmedin, nel rione Ripa.[4]

Il pastificio Michelangelo Pantanella

 

In seguito alla decisione del Governatorato di utilizzare gli edifici di via dei Cerchi per il nuovo Museo di Roma, nel 1928 la Pantanella presenta un piano di potenziamento dello stabilimento di via Casilina e, nel 1929, vi si trasferì la "Società molini e pastificio Pantanella" che nel 1937 l'architetto Pietro Aschieri realizzò.

In seguito ai danneggiamenti subiti durante il bombardamento di Roma del 19 luglio del 1943, nel 1950 venne effettuata la ricostruzione e l'aggiunta del nuovo mulino, ad opera dell'architetto Vittorio Ballio Morpurgo.
Tra il 1958 e il 1961 viene realizzato il biscottificio dall'architetto Silvano Ricci. La Pantanella fu per un paio di decenni (anni cinquanta e sessanta) un'azienda d'avanguardia e di rilievo europeo.

Dal 1970, il pastificio entrò in una grave crisi finanziaria. I circa 400 dipendenti iniziarono uno sciopero che si protrasse per oltre un anno con l'occupazione della fabbrica e il Pantanella chiuse definitivamente.

La struttura rimase abbandonata fino alla fine degli anni ‘80, quando divenne rifugio per centinaia di extracomunitari in un'occupazione abitativa guidata dal fondatore della Caritas don Luigi Di Liegro[7] e dall'associazione United Asian Workers Association (Uawa). Alla fine del 1990 la struttura venne sgomberata[8].

Gli edifici vennero così acquistati dalla società Acqua Pia Antica Marcia che, tra il 1998 e il 2001, ne ha curato il recupero e la riconversione a residence[9], su progetto dell'architetto Bruno Moauro.[10]

 

  • Scuola Elementare Carlo Pisacane, via Acqua Bullicante 30:

SRONIK= LAVORATORE: SACRIFICI, LAVORO E UMILIAZIONI. È stato presentato tempo fa in una delle scuole più famose per presenza di alunni stranieri di Roma, la Carlo Pisacane, nel cuore del quartiere bangladese per eccellenza, un saggio curato da Francesco Pompeo intitolato “Pigneto-Banglatown” (Meti edizioni), dove si analizza lo stile di vita dei bangladesi in un quartiere che sembra uno spaccato di Dhaka. Questo saggio esamina bene le dinamiche della quotidianità. La prima cosa che emerge, è che i cittadini bangladesi che giungono in Italia sono giovani maschi, spesso di formazione e status medio – alto, partiti per elevare il proprio status sociale ed economico, i quali si trovano però davanti una realtà che al contrario li mortifica. Per molti di loro diventare sronik (lavoratore) in Italia è un declassamento sociale, che riguarda anche la famiglia del lavoratore nel bidesh(= paese di origine), dove frequentemente le famiglie sono commercianti, hanno un’attività (kaj) che non ha il medesimo valore di un’attività manuale o subordinata, appannaggio in Bangladesh a gusthi (patrilignaggio di appartenenza di una persona) di infimo livello (F. Pompeo, pag. 78).

 

  • Via della Marranella 123stamperia de “Terra madre” dal 2014. 5 moschee lì. Quba a via della Marranella. Il venerdì giorno sacro affollatissime. Alcune chiuse dalla Polizia: manca “autorizzazione a pubblico spettacolo” o è abuso edilizio più che sede di infiltrazioni di estremisti islamici.

 

  • 1° moschea è la Grande Moschea di Paolo Portoghesi del 1984, seconda

 

  • 2° Al-HudaVia dei Frassini4 (poi via Ceneda).

 

 

Seguono un modello di “convivenza nella separatezza” con noi italiani

POPOLO DI MIGRANTI. Le migrazioni dal Bangladesh hanno avuto inizio nel Settecento, alternandosi secondo le vicende politiche nazionali. Nel 1947, per esempio, quando il Bangladesh era ancora Pakistan orientale, i forti conflitti tra hindu e musulmani portarono circa 3 milioni di hindu verso l’India e circa 846 mila persone d’inverso nel Bangladesh. Con la guerra d’indipendenza dal Pakistan nel 1971, 10 milioni di bangladesi cercarono rifugio in India. Verso l’Europa la prima grande onda migratoria cominciò nel ‘600, come manodopera a basso costo importata nel Regno Unito dalla Compagnia delle Indie Orientali. Questo spiega la massiccia presenza di migranti bangladesi, ancora oggi, nel Regno Unito; al punto che tali immigrati vengono chiamati sia probashi (“abitanti di fuori” – migranti) sia londoni (britannici). Fino al 2003 la migrazione era quasi esclusivamente maschile, per poi subire un lieve incremento nella partecipazione femminile che rimane però al 5%. Oltre il 70% dei probashi è diretto verso i Paesi del Golfo, seguiti dalla Malesia e da Singapore.

 

BANGLADESI IN ITALIA. In Italia il flusso migratorio dal Bangladesh iniziò negli anni Ottanta, principalmente nell’area romana. Tolta Roma, che è la città con la più alta presenza di bangladesi (il 18,5% della collettività), la regione che segna il numero maggiore di cittadini del Bangladesh è il Veneto e poi la Lombardia. Il Lazio è al terzo posto. La fascia di età principale è quella dei giovani adulti. La stragrande maggioranza dei probashi è in Italia per lavoro, soprattutto di tipo subordinato; ma è in aumento anche l’imprenditoria: sono al quarto posto fra le collettività immigrate nell’ambito dell’imprenditoria, in primo luogo nel commercio. Come rimesse, nel 2010 dall’Italia sono partiti 193 milioni e 500 mila euro verso il Bangladesh; il 27% (52 milioni di euro) solo da Roma.

Lavorare in un call-center, un internet-point, un negozio di frutta, o peggio avere una bancarella ambulante, rappresenta un’onta per la famiglia di provenienza, e per lo stesso probashi in Italia. Infatti, la maggior parte delle famiglie in Bangladesh non viene mai a sapere della reale condizione di vita dei propri parenti nel nostro paese, quale sia esattamente il loro lavoro. Tutti i sacrifici e le umiliazioni patite qui da noi sono segrete a chi rimane in bidesh. A loro arriva solo il flusso di denaro che testimonia l’agiatezza dei migranti lavoratori. Ha dunque senso rimanere in Italia perché pare che in Bangladesh non sia così facile investire le risorse economiche in progetti di autopromozione; da noi invece, se si ha tenacia, volontà e una mente dedita agli affari, lo sronik  può migliorare la sua posizione sociale (manifestata simbolicamente dal vestiario) e di riflesso (con la traccia del denaro inviato) elevarla anche in Bangladesh. Aggiungiamo, inoltre, come per arrivare a questi status sociali i probashi spesso siano costretti a vivere in stanze sovraffollate, in posti letti pagati profumatamente ad affittuari bangladesi – questo è un mercato nero senza morale che specula sulle vite dei propri concittadini – o italiani che fanno affari d’oro. Vengono chiamate bachelors’ houses (le case degli scapoli), e capita che alcuni uomini vivano con la famiglia in un quartiere e dormano in questi alveari umani perché là hanno il luogo di lavoro, stanze con anche tre letti a castello e brandine varie tutte pagate singolarmente.

 

Ovviamente esiste anche una larga percentuale di famiglie felici e benestanti, con avviate attività e case acquistate con il mutuo dove abitano senza coinquilini. Lo status sociale è fondamentale, non solo agli occhi degli italiani – ha una diversa considerazione un venditore di rose per strada, da un cuoco in un ristorante italiano fino ad un imprenditore – ma anche agli occhi della stessa comunità bangladese. Credo si possa affermare che non molte altre comunità migranti in Italia pullulino di capipopolo quanto quella bangladese. Figure che hanno fatto fortuna, ricche, a cui si legano membri diversi della comunità di quartiere, anche e soprattutto per questioni politiche. Come abbiamo spiegato nella prima parte, l’uomo bangladese sente in modo vigoroso le vicende politiche; pertanto in Italia si ricreano le stesse dinamiche e divisioni politiche che animano le lotte di partito nel proprio paese. O si è per l’Awami League (il partito governativo dell’attuale Primo Ministro Sheikh Hasina) o si è per Khaleda Zia (il partito nazionalista d’opposizione), i quali si contendono il potere – anche con passati spargimenti di sangue – dall’indipendenza dal Pakistan (1971). Pure in Italia ci sono partiti, testate giornalistiche, eventi culturali affiliati a queste due opposte fazioni. Se sei amico di uno seguace di un partito difficilmente potrai esserlo anche di qualcuno che milita nel partito opposto.

Bangla Patshala a Roma (Scuola lingua bengalese per bambini)

 

ROMA: quarta capitale dei bangla dopo Dakka, Calcutta e Londra.

 

LA LINGUA BANGLA, UN’EREDITÀ COMUNE. Fortunatamente non c’è solo la politica ad animare l’orgoglio dei bangladesi. La difesa della propria lingua livella ogni differenza. Il rispetto per i martiri della nazione, deceduti affinché il bangla fosse la lingua del Bangladesh, è il cuore delle scuole di lingua che si aprono in ogni città italiana: le bangla pathshala o Bangla Academy, nascono con l’intento di preservare la conoscenza della lingua alle nuove generazioni. Bambini nati qui, che alternano l’italiano a scuola la mattina alla propria lingua nei corsi pomeridiani, o fine settimanali, tenuti da madri volenterose. L’alfabeto bangladese deriva dall’alfabeto Brahmi ed ha 11 vocali (che mutano se seguono una consonante) e 27 consonanti.

  • 21 febbraio Giornata della Lingua Madre: nel 1948 il Governatore del Pakistan dichiara che l’urdudiventa lingua officiale sia in W che E Pakistan, sebbene in E parlassero bengali: manifestazione universitaria al campus di Dakka 21 feb 1952. Da qui la guerra per l’indipendenza, 3 milioni di vite, stupri, Dichiarazione indipendenza 1971. Una guerra in difesa di UNA LINGUA.

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  • Parco Rabin a fianco di via Panama:copia in scala minore del Monumento ai Martiri (Shaheed Minar) di Dakka, presso cui vengono deposti i fiori dalla comunità nella notte del 20 Febbraio in onore dei martiri (1952) del movimento per la conservazione della lingua madre.

 

 Albero del pane frutto più famoso. Foreste di mangrovie.

Poeta Tagore (1861-1941) Nobel nel 1913. L’inno è suo (“Mio Bengala dorato, io t’amo”).

“Il piccolo, nudo, guardava il cielo, e nella sua mente smarrita salì una domanda: "Dove sarà mai la strada del paradiso?". Il cielo non rispose, solo le stelle scintillavano, lacrime nella notte silenziosa.»

(Rabindranath Tagore, Domanda, da Lipika)

 

 

LA MUSICA NEL SANGUE. Ai bambini viene insegnate anche la danza e la musica tradizionale. Sì, perché la musica è veramente nel sangue di questa gente: sembra quasi che ogni donna in cuor suo sogni di essere una famosa cantante, e tutte intonano canzoni suonando l’harmonium (strumento a tastiera alimentato dall’aria prodotta da un mantice, suonato con una mano che pigia i tasti e con l’altra che contrae il mantice), mentre agli uomini si riservano le percussioni.

Potreste essere stupiti dal trovarvi davanti donne con mole notevole tirar fuori voci esili come usignoli. È sufficiente andare ad un qualsiasi festival – il più famoso è il Boishakh Mela che celebra il Capodanno bangladese (Pôhela Boishakh) che cade il 14 Aprile – per assistere alle esibizioni delle artiste del luogo e alle danze coloratissime dei bambini. Segno inequivocabile di quanto sia importante la conservazione delle proprie tradizioni culturali. Altri festival più piccoli (il Boishakh Mela dura solitamente una settimana) ma sempre colorati – queste feste sono un’occasione per le donne di sfoggiare gli abiti più belli, i saree acquistati nei giorni precedenti – sono il Falgun (la Festa della Primavera che coincide con il 13 Febbraio) e la pitha-mela (la Festa delle torte). Tra quelle religiose c’è l’Eid, la festa per la fine del Ramadhan.


matrimoni avvengono invece quasi esclusivamente in patria, qui è impossibile sostenere economicamente il costo di un matrimonio che dura quattro giorni e sfami tutta la cerchia di amici e parenti dello sposo e della sposa. Del resto, un matrimonio povero sarebbe un’onta insopportabile per la coppia e le loro famiglie. Molto meglio prendere dei giorni di ferie e andare a sposarsi in Bangladesh.

 

La comunità bangladese è a prevalenza musulmana ed hindu (con un numero minore di buddhisti e cristiani). La differenza è riscontrabile solo dalle donne: le musulmane hanno iniziato ad indossare il velo classico islamico (hijab), laddove in anni passati lasciavano scoperto il capo per velare unicamente i capelli in modo leggero con lo scialle dell’abito (ulna), mentre le donne hindu, se sposate, hanno un tratto rosso all’attaccatura dei capelli nel centro della fronte.

Negli anni addietro rimanevano per lo più in casa senza imparare mai l’italiano, ora si integrano molto meglio, ed è in aumento positivo il numero di donne bangladesi attive nel sociale, come mediatrici culturali.

 

IMPARIAMO IL BANGLA. Per concludere, un po’ di terminologia. La frase che sentirete maggiormente in una conservazione bangladese è thik ache (nelle due pronunce thik accè o thik assè) che vuol dire “Sei d’accordo?” o “Sono d’accordo”: provate ad ascoltare una telefonata qualsiasi di un bangladese per strada e ne avrete la riprova. “Uomo” si dice manush, mentre “donna” si dice mohila, sebbene stranamente le donne non amino sentirsi chiamare in questo modo: tra di loro si chiamano bhabi, che equivale alla nostra “cognata”, indica una parentela più affettiva e simbolica che reale (ma un estraneo non può rivolgersi in questo modo ad una donna bangladese). Ammu è la madre e abbu il padre; i bambini vengono affettuosamente chiamati babu. Il complimento ad una donna va dal semplice shundor (bella) sino al massimo della bellezza che è fatafati: un complimento del genere fa sgranare gli occhi a qualsiasi donna bangladese, così come i complimenti ai loro abiti a cui tengono molto e sono parte integrante della loro vanità.

Proverbio bangladese: “Non disprezzare chi non ha niente perché anche tu te ne andrai senza niente.”

 

– È “sromik” con la M e non con la N, che indica operaio o lavoratore manuale; mentre la parola “kaj” significa lavoro in generale…
– La pronuncia corretta è “goshthi” e non gushthi, gushthi in alcuni dialetti può significare famiglia…
– Il partito principale dell’opposizione attuale si chiama BNP (Bangladesh National Party) e Khaleda Zia è il nome della donna che il capo di questo partito… Eh già, tutte e due i partiti politici più importanti del paese sono guidati da donne…